Il nuovo anno si apre con un altra dipartita, particolarmente dolorosa trattandosi di un giovane tragicamente scomparso. Dopo una grave malattia ci ha infatti lasciato ad appenqa 55 anni Sergeji Larjin, tenore lettone fra le voci più importanti di questi ultimi anni rimasto attivo fino alla fine nonostante le precarie condizioni di salute (stava per iniziare a Bruxelles una nuova produzione di "Fedora").
Larjn è stato in questi anni tanto difficili per la vocalità tenorile un punto di riferimento, una sicurezza per tante produzioni. Una carriera fatta di presenze importanti nei maggiori teatri del mondo in un repertorio: Verdi, la giovane scuola italiana, l’opera russa, certi titoli più spinti del repertorio francese, dove la penuria di voci si è fatta negli anni sempre più evidente: Calaf, Don Alvaro, Don Carlo, Don José, Loris, Cavaradossi, Maurizio di Sassonia, ma anche il falso Dmitrji, il principe della "Rusalka" di Dvorak, Andreji, Lenskji
Privo di una voce di per se importante, Larjn compensava questo limito con un’innata musicalità, una grande raffinatezza nel porgere, un attento studio dei personaggi. Abbastanza trascurato dalle case discografiche – mi ricordo solo una strepitosa incisione di "Mazeppa" sotto la guida di Neeme Jarvi – e stato in compenso grande protagonista sui palcoscenici di tutto il mondo con una innegabile preferenza per quelli italiani. Dalla Scala dove salvo il "Don Carlo" innaugurale di qualche anno fa subentrando al disastroso Pavarotti della prima a Genova, Torino, Parma, Roma. La scomparsa di Larjn mi commuove particolarmente, e non solo per la tragicità delle circostanze. Ho avuto la fortuna di ascoltarlo diverse volte – per l’esattezza in "Fedora" con Mirella Freni, "Don Carlo", "Evgenji Onegin" e "Boris Godunov" -, e ne serbo piacevole ricordo, è stato il primo tenore importante ascoltato dal vivo, il protagonista di splendide serate che ricordano alcuni dei – pochi – momenti felici da me vissuti per ragioni sia musicali che personali. Una scomparsa che mi addolora profondamente per ragioni sia artistiche che umane
Dispiace davvero. Per l\’età (55 sono davvero troppo pochi), per la persona, per il tenore. Almeno gli artisti lasciano lquaggiù a consolazione dei dischi, dei video, di quelle poche piccole cose che fanno da pallida imitazione dell\’immortalità.