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I panthea italici mostrano rapidamente una profonda assimilazione ai modelli greci – sia iconografici sia mitologici – tale da rendere spesso impervio riconoscere i tratti più prettamente locali sotto le forme greche. Una parziale eccezione è data dalla figura di Marte – e del suo omologo etrusco Laran – culto ancestrale profondamente radicato nella mentalità italica e mai totalmente assimilato all’Ares greco tanto da mantenere anche caratteristiche iconografiche specifiche fino a età molto avanzata.

Il culto appare profondamente radicato nell’Etruria interna ove compare altre che come Laran con i teonimi di matrice italica Marsil e Mari (fegato di Piacenza) e in Umbria dove è ricordato come Grabovius nella Tabulae Inguvinae. Proprio in questi ambiti deve essere avvenuta la prima costruzione iconografica della figura del Dio che pur dipendendo da modelli ellenici – non esiste nessun’arte figurativa nell’Italia antico senza la scintilla greca – ma elaborati secondo concezioni locali. Il Dio appare di prassi con tratti molto giovanili, il volto è sbarbato, il fisico leggero e scattante, la muscolatura – più pensata che compita – di taglio efebico, il volto dai tratti delicati, un buon numero di bronzetti attestano questo schema fin dalla seconda metà del VI a.C., il Dio può essere nudo con solo elmo, lancia e scudo (come ad Ancarano di Norcia) ma più spesso totalmente armato con corazza toracica a lamelle o scaglie, corte pteryges che spesso lasciano scoperti i genitali – forse in relazione a un ruolo di fecondità agro-pastorale, alti schinieri. Lo ritroviamo entro la metà del secolo successivo nei bronzetti del British Museum, di Villa Giulia, di Firenze e fino a tutta l’età ellenistica dove le testimonianze si concentrano negli specchi incisi e se l’esemplare più antico – fine IV a.C. da Populonia – lo presenta insolitamente barbato gli esemplari più tardi ritorna sistematicamente al tipo imberbe.

Questa iconografia trova la rappresentazione più compiute nel Marte di Todi, fra i capolavori della bronzistica medio-italica databile alla fine del V a.C. I modelli greci sono rielaborati in senso ecclettico – e con qualche difficoltà di raccordo – e piegati a esigenze iconografiche prettamente locali. Dimensioni poco minori del vero – altezza 1,41 m ma l’elmo è perduto, il volto glabro con gli occhi incastonati in particolare rilievo vesta una corazza toracica a laminette legate e doveva indossa un elmo ad alto lophos – come quello dei bronzetti – oggi perduto. La dedica in lingua umbra e in alfabeto etrusco ricorda un dedicante dal nome celtico Ahal Trutitis testimonianza della pluralità etnica dell’Italia tardo-classica. Nonostante la progressiva ellenizzazione dei tipi ritroveremo questo schema ancora in piena età repubblicana ad esempio nel Dio sbarbato, atletico e nervoso nonostante la posa statica che compare sui rilievi dell’Ara di Domizio Enobarbo.

La più antica immagine romana doveva essere quella del tempio fuori Porta Capena, consacrato nel 388 a.C. in cui il Dio – che dobbiamo immaginare con uno schema simile a quelli descritti – era raffigurato fra lupi, un riflesso è forse identificabile in un frontone fittile al Palazzo dei Conservatori datato alla fine del II a.C.

Un’autentica rivoluzione iconografica è rappresentata dai cicli statuari augustei e principalmente quello del Tempio di Marte Ultore punto culminante del nuovo foro voluto dal Divi Filius con la duplice immagine sul frontone e nella cella del tempio. Quello frontonale è meno noto e attestato principalmente da un rilievo dell’Ara Pietatis Claudiae. Lo schema è prettamente ellenistico e richiama modelli come l’Alessandro con lancia e il Poseidone di Milo. Nonostante il precario stato di conservazione riconosciamo il volto glabro, il capo radiato, il torso nudo con il mantello arrotolato ai fianchi, la ponderazione centrata sulla lancia.

La statua del tempio è invece attestata da un rilievo da Cirta – ad Algeri – e da una statua colossale del Museo Capitolino. Lo schema è simile ma vi sono significative differenze. Il Dio è qui barbuto come l’Ares greco, porta elmo e corazza, impugna con la destra la lancia e appoggia il braccio sinistro sullo scudo. L’esemplare africano – cronologicamente più vicino ma forse semplificato per la trasposizione a rilievo, mostra elmo con alto lophos singolo e corazza anatomica liscia; l’esemplare dei Capitolini è creato in ambiente romano e mantiene la struttura a tutto tondo ma è decisamente più tardo – oggi è datato in età traianea o adrianea – e sembra rileggere l’originale augusteo con gusto più barocco. Certi dettagli potrebbero però risalire all’originale come la sfinge che regge la cresta dell’elmo e i due pegasi che l’affiancano – richiamo all’elmo della Parthenos – o i due grifoni di Nemesi che decorano la corazza e che sono ben noti all’arte ufficiale augustea.

E’ uno schema che avrà grande fortuna nell’arte ufficiale ad esempio sui rilievi domizianei della Cancelleria dove è rappresentato incedente (Mars Gradivus) ma con attributi ancora molto simili ai modelli augustei, sui rilievi dell’arco di Traiano a Benevento (ancora come Gradivus) o su un pannello antonianiano riutilizzato nell’Arco di Costantin o la cui statica solidità sembra indicare la trasposizione di un modello statuario; o in quella derivata da modelli ufficiali (coppa da Boscoreale) ma non sostituirà mai completamente altri schemi più radicati nella tradizione.

Il Marte sbarbato e giovanile della tradizione italica continuerà a essere dominante nelle espressioni artistiche private – a esempi negli infiniti bronzetti diffusi dai soldati nelle province che influenzeranno in modo fondamentale le espressioni artistiche dei vari territori. Gli esemplari migliori sono di provenienza gallica come quelli da Reims al Louvre ma sono attestati anche in Germania – un’esemplare da Spira con la spada in sostituzione della lancia, analoga sostituzione in un esemplare marmoreo da Klagenfurt in Rezia ma lo ritroveremo perfino in contesti ufficiali come il sarcofago di Balbino dove nudo con il solo elmo a caratterizzarlo e con analoga iconografia nella base dei Decennali di Diocleziano oltre che in immagini di funzioni prevalentemente decorativa come l’esemplare – anch’esso nudo con elmo ad alta cresta – dalle terme adrianee di Leptis Magna.

Altre immagini sono barbate ma si rifanno a modelli greci indipendentemente dalla mediazione augustea. Il Dio che compare sul rilievo della base di Civita Castellana può ricordare il Mars Ultor augusteo ma lo precede essendo ancora di età cesariana e se simili sono elmo, volto e corazza diverse sono ponderazione – qui la veduta è laterale – e gli attributi comparendo qui un giavellotto e una patera con cui il Dio sta compiendo una libagione. Sono gli echi dell’ellenizzazione sempre più profonda dell’estetica romana che ritroviamo anche nella bella testa barbata con elmo a pileos del Museo Barracco dalla forte connotazione patetica.

Più rare le scene mitologiche, incerta quella della Casa del Criptoportico dove si è voluto vedere Marte nel guerriero in lotta con Diomede il tema sembra ridursi all’episodio – così centrale nella storia mirica di Roma – dell’incontro con Rea Silvia. Lo schema più frequente è un’elaborazione di quello di Dioniso e Arianna con il Dio che si avvicina alla giovane addormentata,  lo ritroviamo a Pompei (Casa di Romolo e Remo), nella Domus Aurea, in mosaici da Ostia e da Lixus. Originali un affresco da Villa Adriana con Marte armata che veglia sui gemelli allattati dalla lupa e l’immagine che ritroviamo nel Colombario dell’Esquilino con Marte intento a rapire la Vestale che timorosa lascia cadere l’anfora con cui doveva attingere l’acqua mentre intorno fuggono i pastori testimoni della scena. Quest’ultimo ci introduce all’ambito funerario dove le immagini della coppia sono usate con una certa frequenza nella decorazione di sarcofagi in cui le figure divine assumono i tratti dei defunti (Musei Vaticani unito al mito di Selene ed Endimione reso in forma speculare, Palazzo Mattei) oppure con le due figure stanti come in un altro sarcofago vaticano con Rea Silvia che si appoggia al braccio di Marte. L’uso di Marte adattato a ritratti privati non deve sorprendere, tipi del Dio – spessi associati a Venere – sono utilizzati con frequenza per gruppi onorari o funerari come nel celeberrimo gruppo del Museo Nazionale Romano.

I tipi di Marte diffusi dai legionari nelle provincie hanno trovano rapido adattamento presso le popolazioni locali prestandosi a esprimere concetti divini indigeni in forme parzialmente romanizzate. Il culto di Marte sarà fra i più radicati in Gallia e fra quelli che più resisterà al cristianesimo. Il Marte gallico perde molti dei suoi tratti guerrieri, è un Dio solare e astrale, connesso con l’alternarsi delle stagioni, lo zodiaco e la fertilità della terra spesso associato a Noreia-Minerva (rilievo tiberiano di Mavilly dove la presenza dell’ariete e del serpente rimarcano i legami con la sfera ctonia e con la fecondità. Suo animale simbolico è il cavallo che può sostituire la stessa figura divina (Nuits-Saint-Georges in Borgogna).

Divinità solare e luminosa fa proprio attributi di Apollo – un tipo apollineo è utilizzato a Vignory dove come attributi compaiono la clava e il serpente mentre seduto su un’omphalos è raffigurato a Magdalensburg – o di Mercurio come su un altare da Digione dove porta come attributo la borsa. Tratti apollinei si possono identificare anche nel bel bronzo da Coligny al Louvre prodotto locale che reinterpreta con buone capacità ,nonostante i numerosi fraintendimenti, modelli greci. Il Dio è stante, nudo, dalla muscolatura atletica – anche se la lavorazione resta superficiale, i capelli lunghi e morbidi, portava un copricapo oggi perduto; sul piedistallo reca inciso un calendario solare.

Una complessa teologia della luce doveva essere sottesa al Mars Latobius venerato dai Latobici che se in alcuni casi recupera l’aspetto guerriero dei precedenti italici (a St. Margaareten im Lavantthal) appare altre volte appare scisso in tre distinte persone in forma di giovane, vecchio e di donna simboli del suo potere sulla luce e sull’oscurità, sulla terra  e sul cielo (Grenier). Il Marte di St. Margaareten im Lavantthal appare strettamente connesso al culto delle acque associazione che ritroviamo anche a Lenus sulla Mosella.

Un Marte armato sostenuto da mostri anguipedi compare su un’armatura da parata per cavallo del III d.C. ritrovata a Staubing mentre una lotta fra il Dio e un mostro analogo è attestata a Spira.

Marte di Todi

Copia traianea della statua di Mars Ultor

Marte gallico da Coligny

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