I presunti ritratti di Amalasunta formano apparentemente il corpo più consistente della ritrattistica ufficiale di età gota, contando tre ritratti in marmo e due dittici eburnei, in realtà come si mostrerà in seguito si tratta di opere di produzione bizantina, sicura per i dittici e molto probabile per i ritratti marmorei, raffiguranti un’augusta dell’inizio del VI secolo, probabilmente Ariadne, moglie di Zenone e poi di Anastasio, mentre gli elementi a favore di una paternità gota sono estremamente labili.
Due pannelli eburnei, conservati rispettivamente al Kunsthistorisches Museum di Vienna e al Museo del Bargello di Firenze, in stretta connessione fra loro, forse addirittura parti di un unico dittico, o comunque ad una medesima serie di dittici, raffigurano un’Augusta dell’inizio del VI secolo, circondata dagli attributi del suo potere.
Il pannello di Vienna mostra un’imperatrice seduta in trono, sotto un baldacchino. Il baldacchino è organizzato secondo principi architettonici, ai lati colonne scanalate con capitelli a foglie e basi a tamburo e fusti decorati da gioielli reggenti una sottile trabeazione e una cupola con scanalature incise a motivi vegetali, affiancata da due aquile, poggianti su basi vegetali. Due tende, che pendono da un’asta sono avvolte intorno alle colonne. L’impressione è che sia rappresentato un apparato di rappresentanza, probabilmente effimero. Il trono presenta due pilastrini frontali, decorati con pietre lavorate e sormontati da globi; lo schienale curvilineo compare alle spalle dell’imperatrice. Il poggiapiedi, a forma di scatola, è anch’esso decorato a rappresentare pietre preziose. Il cuscino su cui si appoggia l’augusta è di tipo cilindrico ricamato con rosette a forma di stella all’interno di cerchi concentrici , mentre alle estremità sono presenti dischi circolari.
La figura femminile, tiene nella mano destra un globo sormontato da una croce gemmata, mentre la sinistra è tenuta con il palmo in avanti, piegata all’altezza del gomito. Indossa tunica, dalmatica, clamide e calzature ornate da gioielli. La tunica ha le maniche bordate da file di perle, così come perle sembrano alternarsi ad incastonature stellate nella collana. La clamide è in tessuto ricamato con motivi a rosetta, presenta una bordura in pietre preziose e nel mezzo è un inserto bordato di perle, nel quale era un busto, oggi molto rovinato, si riconoscono la sagomo di un elmo con al di sotto lunghi capelli, potrebbe trattarsi di una personificazione di Roma o Costantinopoli. La corona è formata da una cuffia decorata da gioielli sopra la quale è un diadema con pendilia, attributo esclusivamente imperiale che esclude l’identificazione originariamente proposta con Amalasunta, che mantenendosi fedele alla tradizione paterna non si arrogò mai il diritto di usare simboli esclusivi dell’autorità imperiale di Costantinopoli.
L’immagine è assolutamente depersonallizata, il ritratto non presenta nessun elemento individualizzante, sembra connettersi ad una epifania del potere imperiale, reso dalla solennità della posa e dalla abbagliante ricchezza delle vesti e degli arredi, sicuramente più confacente ad un’augusta d’Oriente che alla regina dei goti.
Ulteriore, ma ancor più definitivo elemento è quello stilistico, Breckenridge ha dimostrato come le forme siamo quelle tipiche delle produzioni costantinopolitane dell’inizio del VI secolo, riscontrabili a partire dal dittico di Areobindo del 506 fino a quello di Anastasio del 517, apparentandosi in modo particolarmente stretto con il dittico di Clementino del 513. La produzione costantinopolitana e la datazione confermano l’identificazione del personaggio raffigurato con Ariadne, moglie di Zenone e in seguito (dal 491) di Anastasio, morta nel 515.
Il pannello è la sezione centrale di un dittico imperiale composto da cinque parti, analogo a quello del Louvre, raffigurante probabilmente Giustiniano, che vedeva al centro l’imperatore a cavallo, coronato e loricato, nel pannello superiore Cristo benedicente, in quello inferiore una Vittoria che offre una corona mentre barbari e fiere offrono omaggio al sovrano, nel pannello di sinistra un personaggio maschile in abiti militari offre una vittoria (il pannello di destra è perduto). Il dittico di Ariadne doveva presentare probabilmente nel pannello superiore la figura di Cristo o la personificazione di Costantinopoli, nei pannelli laterali figure maschili armate, forse i consoli dell’impero, e nel pannello inferiore barbari omaggianti.
Il pannello fiorentino presenta una impostazione analoga a quello di Vienna, il baldacchino presenta identica struttura, salvo l’assenza di decorazione sulla cupola, le aquile reggono con il becco una ghirlanda, probabilmente perduta a Vienna. L’imperatrice, vestita in modo analogo a quello del pannello viennese è raffigurata stante, in posizione rigidamente frontale. Nella mano destra tiene un lungo scettro e nella sinistra il globo sormontato dalla croce gemmata. Per l’interpretazione del pezzo si veda quanto detto a proposito del pannello del Kunsthistorisches Museum. Amalasunta va invece riconosciuta nel ritratto entro clipeo del dittico di Oreste, dove compare senza corona, soltanto con il pilos, il tradizionale copricapo goto, trapunto di perle
La tradizione attribuisce ad Amalasunta tre ritratti marmorei, di provenienza romana; in realtà l’identificazione del personaggio, o dei personaggi, rimane a tutt’oggi molto incerta.
– Ritratto dei musei Capitolini (Palazzo dei conservatori inv. 865). Marmo lunense, altezza 33 cm. Rinvenuto nel 1887 nell’area della Subura, mostra un volto giovanile ovale e carnoso, enormi occhi leggermente sporgenti con palpebre spesse e iridi cave. La bocca piccola con gli angoli leggermente sollevati, è separata dal mento da una fossetta. I capelli sono ricoperta da una cuffia ornata da fili di perle, interrotti dalla presenza di grandi gemme rettangolari. Rispetti agli altri presunti ritratti di Amalasunta questo si caratterizza per la diversa acconciatura nonché per l’aspetto più giovanile del volto e per le forma più rotondeggianti. Il ritratto fu attribuito ad Amalusanta dal Visconti, ipotesi ripresa successivamente da Fuchs, mentre Calza opponeva la florida giovinezza del ritratto dei Conservatori alla figura matura e robusta di quello del Laterano, proponendo di vedere nel primo non il ritratto di Amalasunta, ma quello della figlia Matasunta.
In contrasto con queste posizioni un gruppo di studiosi, a cominciare da Delbrück, propone una matrice bizantina del ritratto, attribuendola ad Ariadne anziché ad Amalasunta. Questa posizione appare oggi prioritaria, Wessel sostiene che il tipo di acconciatura presente nel ritratto dei Capitolini fu indossato solo da Ariadne durante il regno del secondo marito Anastasio (491-517), portando a sostegno della sua teoria un presunto ritratto di Anastasio alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copeghagen che presenta affinità tecniche e formali, in particolare nella plasticità del volto e nel rendimento dello sguardo con la testa dei Capitolini. Gli studi più recenti, più prudentemente, tengono una posizione più incerta fra le due figure, o anche con una dama della corte imperiale, in quanto il carattere stereotipato dell’immagine non permette una identificazione ad personam; questa astrazione meglio si converrebbe ad un immagine imperiale, dove prevale la volontà di rappresentazione del potere, piuttosto che di un ritratto privato dove più a lungo rimangono connotazioni realistiche. Ad un contesto imperiale sembra rimandare la morbida levigatezza delle superfici, tese ed immobili, che si ricollegano a stilemi tipici della ritrattistica dinastica di età teodosiana.
– Ritratto del Laterano (Museo bella basilica di S. Giovanni in Laterano). Proveniente con buone possibilità dall’area del Laterano, la testa venne fissata nel XVI secolo su un busto non pertinente, in oltre venne aggiunto un nimbo, sono ancora visibili i fori di inserzione sul retro, forse in ragione dell’identificazione con Elena, madre di Costantino. Stilisticamente ed iconograficamente il ritratto si apparenta ad un altro esemplare oggi al Louvre ma di possibile provenienza romana. Raffigura una donna non più giovane, dalla corporatura massiccia e pesante, grandi occhi dal taglio lunato, originariamente messi in risalto da inserti di pasta vitrea o smalto sono il fulcro su cui si concentra lo sguardo dello spettatore. I piani del volto sono trattati per volumi sferoidi, quasi privi di dettaglio, esaltati nella loro solidità geometrica, anche la complessa acconciatura viene definita come un volume unitario, mosso sola dalla corona gemmata.
L’elemento di maggior interesse è dato dall’acconciatura, questa è formata da un copricapo, probabilmente semirigido, destinato a coprire i capelli, secondo uno spirito di modestia e semplicità che dovrebbe caratterizzare la donna cristiana e per il quale si erano battuti i maggiori intellettuali cristiani dell’epoca, con la loro decisa riprovazione per le sontuose acconciature del secolo precedente, caratterizzate da una vistosa pettinatura con i capelli riportati verso l’alto, appoggiati ad un posticcio e trattenuti alla base da un nastro perlinato o da un nastro aureo ornato da pietre preziose; questa acconciatura, nata sul finire del IV secolo continuerà per tutto il successivo è ancora fino agli inizi del VI.
Alla fine del VI secolo compare un copricapo dalla forma regolare, forse semirigida, appositamente sagomato per accoglie l’acconciatura del periodo precedente e rispondente ai nuovi dettami religiosi, in realtà presto trasformato in una nuova occasione di sfarzo, con le ricche decorazioni in perle e pietre preziose che vengono a decorarlo. Il tipo compare nei dittici eburnei di Ariadne, in un busto di imperatrice oggi a New York e, leggermente modificato, nella “Teodora” del Castello Sforzesco, dove risulta insellata al centro e con due rigonfiamenti laterali, forse dovuta all’usanza di dividere i capelli in due bande laterali, la decorazione è data da due fasce perpendicolari, ornate da un doppio filo di perle, che si riuniscono in un medaglione circolare a tre pendenti sulla fronte e in un nodo erculeo sulla nuca.
L’acconciatura del ritratto del Laterano è una evoluzione di questa tipologia, rimane la forma insellata al centro e i rigonfiamenti laterali, che non sono più bombati ma appuntiti, inoltre la presenza di fili di perle applicate, potrebbe far pensare alla presenza di cuciture o di profilature in materiale diverso da quello della base del copricapo. Il confronti più diretti sia ha, oltre che con la presunta “Amalasunta” del Louvre di cui si parlerà in seguito, con un ritratto bronzeo da Niš, attribuito all’imperatrice Eufemia e datato al 520-530, nonché con i busti clipeati di Ariadne nel dittico eburneo di Clementino, datato con precisione al 513. Acconciature di questo tipo saranno a lungo in uso presso la corte bizantina, si veda la raffigurazione di Irene nella Pala d’Oro di Venezia.
– Ritratto del Louvre, altezza 25,7 cm, marmo bianco, forse lunense, il naso è di restauro. La testa è entrata a far parte delle collezioni del Louvre nel 1911, di possibile provenienza romana. Le vicinanze con la testa del Laterano sono impressionanti, sia iconograficamente che stilisticamente, tanto che si può supporre con ottime basi, nonostante la fortissima astrazione, che i due ritratti raffigurino lo stesso personaggio. Uguali i tratti del volto, l’acconciatura, la resa per geometrie pure dei piani del volto, la maggiore differenza è data dalla presenza di un modellato più sfumato e soffuso rispetto all’esemplare romano.
L’attribuzione dei due ritratti e stata a lungo dibattuta fra due ipotesi principali, che vedono nel personaggio raffigurato rispettivamente la regina gota Amalasunta o l’augusta bizantina Ariadne, riproponendo il dibattito visto per i dittici. Significativa l’obbiezione proposta da Piltz riguardo al tipo di corona indossato, priva dell’attributo specificatamente imperiale dei pendilia, che invece compare sui dittici eburnei della stessa Ariadne. In effetti il copricapo non appare connotato in senso imperiale, ma neppure reale, limitandosi ad indicare l’elevato rango dell’effigiata, in oltre Wessel attribuisce l’introduzione di questa nuova forma di acconciatura proprio ad Ariadne negli ultimi anni del suo regno. L’assenza dei pendilia nei ritratti marmorei può inoltre essere dovuta a scelte iconografiche, nonché a problemi tecnici di realizzazione, diversi a quelli che caratterizzano i dittici eburnei, si noti come il ritratto bronzeo di Niš, la cui identificazione con Eufemie non è certa, ma che raffigura certamente un’augusta, presenti un copricapo analogo a quelle dei ritratti del Laterano e del Louvre, anch’esso privo di pendilia, assenza che parrebbe quindi caratteristica delle immagini a tutto tondo rispetto a quelle in rilievo.
Stilisticamente i pezzi si inseriscono serenamente nelle coordinate della ritrattistica imperiale del tempo, con alcuni elementi, come il modellato del ritratto del Louvre, propri delle botteghe costantinopolitane. Contro una provenienza dalla capitale gioca non tanto la provenienza romana quanto piuttosto il materiale utilizzato, che sembra essere marmo di Carrara e non un marmo bianco greco od orientale.
La presenza a Roma e negli altri maggiori centri d’Italia di effigi degli augusti di Costantinopoli sembra molto probabile viste le particolarità del regno goto d’Italia. Il fatto che la dinastia amala esercitasse ufficialmente il proprio potere in Italia per delega dell’Imperatore d’Oriente, e l’attenzione mostrata dai goti a non offendere la suscettibilità di Bisanzio con atteggiamenti che potesse apparire un tentativo di crearsi un imperium in imperio, si veda a proposito la politica monetaria, ben giustificherebbe la presenza delle statue degli augusti d’Oriente, legittimi sovrani d’Italia, sulla quale Teodorico regnava per loro mandato.
Il regno di Anastasio e Ariadne è un momento particolarmente felice nelle relazioni fra la corte imperiale e i goti, sappiamo di una statua di Teodorico eretta da Zenone, primo marito di Ariadne, davanti al colonnato del palazzo imperiale di Costantinopoli, inversamente statue imperiali in Italia sono ancor meno sorprendenti, statue che devono essere sopravvissute anche ai momenti più drammatici della guerra greco-gotica, risparmiate dall’odio montante contro i bizantini, proprio per il buon ricordo che Anastasio e la sua famiglia serbavano nell’immaginario goto, e del quale abbiamo una significativa testimonianza numismatica, quanto il ritratto dell’aborrito Giustiniano viene sostituito con quello del vecchio imperatore Anastasio, che aveva impostato la politica di rapporti fra Bisanzio e l’Italia gota all’insegna della pace e della cooperazione.
L’identificazione con una augusta bizantina spiega inoltre come i ritratti non siamo caduti vittime della dannatio memoriae praticata dopo la riconquista imperiale sulle immagini della famiglia reale gota, che a portato distruzione di gran parte delle immagini di Teodorico e al voluto sfregio al ritratto di Atalarico.