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Archive for settembre 2016

Sorella e sposa di Zeus, signora sfolgorante del cielo, custode dei patti e dei giuramenti, prima fra le Dee Hera appare fin dai tempi omerici in una posizione eminente nel pantheon greco e la documentazione archeologica conferma l’antichità e la diffusione del culto. I documenti più antichi risalgono al tardo periodo geometrico, si tratta di idoletti fittili spesso di tradizione sub-micenea e non dissimili da quelli offerti ad altre divinità e identificabili con certezza solo dai contesti di provenienza. Alcuni esemplari del primo periodo orientalizzante dell’Heraion di Argo presentano l’accenno di un velo che appare come uno dei tratti tipici della divinità e che doveva caratterizzare anche le più antiche immagini di culto di cui purtroppo non resta traccia se non nelle descrizioni delle fonti, quella di Samo era in legno vestita con abiti appositamente tessuti; l’immagine più antica doveva essere aniconica, un asse rozzamente sbozzato ma anch’esso vestito per l’occasione.

La più antica statua votiva dell’Heraion riprende il tipo della Kore di Auxerre ed è contemporanea al nuovo simulacro di culto opera di Smilis ricordato dalle fonti. Più o meno contemporanea è una testa in pietra da Olimpia identificata con la Dea; lo stile è quello del pieno orientalizzante e nonostante la provenienza peloponnesiaca non manca di influenze asiatiche che la fanno somigliare alle coeve statue eburnee di Delfi. L’immagine più importante del pieno arcaismo giunge però nuovamente dalla Ionia ed è la statua votiva di Cheramyes da Samo datata intorno al 550 a.C. La figura è stante, di dimensioni maggiori del vero e riccamente vestita, pur acefala si riconoscono tracce del velo che scendeva sulle spalle. Riprendono invece il tipo seduto descritto da Pausania a Olimpia le più antiche raffigurazioni attiche come quella nel frontone dell’apoteosi di Eracle dalla colmata persiana.

In questa fase prevalgono le immagini stanti, l’unica testimonianza di tipo narrativo è un piccolo rilievo fittile da Samo con la rappresentazione dello ieros gamos. L’impostazione della scena è di taglio prettamente orientale con la Dea nuda, in posizione frontale secondo modelli che affondano le loro origini nella tradizione siriana fin dalla metà del II millennio a.C. e che erano giunte nella Ionia tramite la mediazione delle popolazioni anatoliche. Il tema ricompare su una metopa dell’Heraion di Selinunte ormai alla fine dell’arcaismo, qui Hera riccamente panneggiata e con il capo velato avanza verso destra dove Zeus è seduto su una roccia, a torso nudo e con il panneggio avvolto intorno alle gambe.

I temi narrativi relativi ad Hera sono limitati anche nella ceramica figurata di età arcaica e classica. Il più diffuso è il giudizio di Paride che già compare su un pettine orientalizzante in avorio da Sparta e che trova la prima compiuta realizzazione alla metà del VI a.C. nell’anfora eponima del Pittore di Paride. Hera è panneggiata e velata, tratti che rimarranno tipici e che permetteranno di riconoscere la Dea nelle immagini posteriori almeno fino alle opere di analogo soggetto del Pittore di Meidias.

L’altro tema narrativo in cui Hera appare con frequenza è la gigantomachia come nel bel cratere attico di Arisophanes a Berlino (410-400 a.C.) dove appare con il capo cinto da una corona mentre sta per abbattere lancia contro Phoitos. Si tratta comunque di casi limitati prevalendo per la regina del cielo immagini statiche e solenni anche quando appare coinvolta in episodi specifici come il ritorno di Efesto dall’Olimpo (cratere del pittore di Kleophon ( 410-420 a.C.) o l’allattamento di Heracle (Lekytos apula del British Museum intorno al 360 a.C.). Sono pero i cortei e le assemblee divine il soggetto più frequente nelle raffigurazioni della Dea. Questo si riscontra si in scultura che nella pittura vascolare. Per la prima serie si possono ricordare i cicli del tesoro delfico dei Sifni, dell’Hefaisteion oltre ovviamente a quello fidiaco del Partenone che rappresenta il punto più altro di questa serie iconografica per la seconda quello di Oltos da Tarquinia (dopo il 520 a.C.), lo stamnos del Pittore di Berlino e un cratere a campana a Villa Giulia della fine del V a.C.

Diffusissime poi le immagini in cui la Dea appare isolata o semplicemente affiancata ad altra divinità. Al primo tipo appartengono le figure in trono come la Lekytos di Brygos (500-475 a.C.) dove il capo è cinto solo da una tenia mentre nelle mani regge lo scettro simbolo della regalità e un’aquila si apposta sullo schienale o l’insolita immagine di una kylix a fondo bianco del Pittore di Saburov  con la Dea stante, isolata, vestita con un pesante mantello ocra decorato da fasce a palmette, il capo cinto da una corona da cui scendono trecce inanellate, lo scettro nella mano destra. Fra le figure che l’accompagnano sono frequenti quelle più strettamente associate a lei come Iris – lekytos di Brygos con la messaggera alata e dotata di caduceo – ed Hebe – pelike del Pittore dei passeri.

Parlare di figure stanti ci riporta verso la grande scultura che però presenta più di un’incertezza. Nessuno dei grandi originali descritti dalle fonti è conservato e le copie romane sono spesso di difficile interpretazione essendo gli attributi di Hera comuni anche da altre divinità come Hestia o Demetra. Si è proposto di vedere Hera nel tipo Cherchel-Berlino di Demetra e soprattutto nell’Hestia Giustiniani la cui nobile austerità unita a una bellezza radiosa ben si adatterebbero alla signora del cielo, l’archetipo è risalente ad un modello di stile severo con qualche tratto comune con l’Afrodite Sosandra di Kalamis.

Resta incerta l’identificazione fra le copie romane dell’Hera di Alkamenes eretta sulla via del Falero alla metà del V a.C., a quell’orizzonte cronologico rimandano alcune figure con panneggio di tradizione fidiaca che esalta la pienezza delle forme esaltate dalla ponderazione chiastica degli arti, il capo coronato, scettro e patera come attributi, scartata per confronto con un rilievo attico di fine secolo l’attribuzione con Demetra – tipo Boboli-Berlino – appare molto probabile riconoscervi Hera e i dati stilistici l’avvicinano al tempo di Alkamenes pur senza certezze al riguardo. Nulla resta della statua crisoelefantina eseguita intorno al 420 a.C. ad Argo da Policleto (Pausania, II 17, 4) testimoniata solo dalle emissioni monetarie cittadine.

E’ invece originale una figura stante – purtroppo acefala e priva degli arti – ritrovata nell’Heraion di Samo e databile attorno al 320 a.C. caratterizzata da un panneggio ricco e fortemente chiaroscurato che contrasta con la semplicità geometrica delle più antiche figure con peplo e anticipa il gusto barocco dell’Ellenismo asiatico. Allo stesso orizzonte cronologico si data la bella testa – anch’essa originale – di Boston che nelle levigate superfici rimanda a stilemi prassitelici, si ricordi che il maestro aveva realizzato la statua di culto per il tempio di Platea che non può essere stata senza influenza su quegli artisti che s’ispiravano al suo modello.

Ancora più difficili da identificare sono i tipi del periodo ellenistico conosciuti per lo più da copie romane spesso pesantemente restaurate nei secoli passati. Sicuramente con Hera si può identificare l’esemplare di Palazzo Cesi, le braccia sono di restauro ma busto e testa sono originali e ci trasmettono un’impostazione al contempo nobile e dinamica esaltata dal gioco chiaroscurale del panneggio. Il ritrovamento di alcuni frammenti dello stesso tipo nell’Heraion di Samo conferma l’identificazione. E’ invece andata perduta la sua figura sull’altare di Pergamo.

La Giunone italica è meno sovrapponibile di altre divinità al suo corrispettivo greco, essa ha infatti specifici attributi – la capra, la cornacchia, il cane – che sono estranei alla tradizione greca, inoltre come Dea celeste la Uni etrusca si identificava con la luna risentendo l’influenza dell’Astarte fenicia elemento passato in parte anche alla Giunone latina; sempre di origine etrusca appare il culto di Giunone Regina come calco di Uni Turan il cui tempio fu consacrato da Camillo nel 396 a.C. Una copia della statua di culto è stata identificata nella Kourotrophos Chiaramonti e rielabora l’antico simulacro veiente. Specifica del mondo etrusco è l’incografia con Uni che allatta Hercle adulto molto probabilmente in relazione all’apoteosi di questi. Il tipo compare in alcuni specchi incisi come quello volterrano del Museo di Firenze forse il più riuscito sul piano della qualità artistica.

Se l’iconografia di Giunone – in molte delle sue personalità – tende ad assimilarsi a quella greca di Hera, comprese le numerose immagini pertinenti alla Triade Capitolina dove appare in trono con il capo coronato e velato secondo modelli di età classica accompagnata dal pavone posto come simbolo al lato del trono – gruppi di Preneste e Castel Sant’Angelo – prettamente di connotazione italica appare il tipo della Giunone Sospita.

Il culto di Iuno Sospita (Sipses)  introdotto ufficialmente nel 338 a.C. e dotato di un apposito tempio nel foro Olitorio nel 194 a.C. manteneva invece un’iconografia totalmente estranea ai modelli greci. L’immagine più nota e meglio conservata è quella da Lanuvium ai Musei Vaticani e mostra una Giunone indossante una pelle di capra come corazza con la testa ferina a coprire il capo in funzione di elmo, indossa i calcei repandi, imbraccia uno scudo ad otto simile a quello portato dai salii e impugna la lancia, un serpente gli fuoriesce da sotto la veste. La statua di Lanuvium è di età antonina ma il tipo è attestato fin dal VI-V a.C. – a volte con pelle bovina anziché caprina – in terrecotte e bronzetti di ambito laziale (Tibur, Tusculum, Gabii). Particolarmente efficaci le antefisse tardo arcaiche dell’Altes Museum berlinese con la Dea dai tratti ionizzanti di gusto prettamente ceretano indossante un sontuoso copricapo ferino con corna e orecchie ravvivato da una vivacissima policromia. La provenienza è verosimilmente romana per confronto con i frammenti delle terrecotte di V a.C. dall’area della Basilica Giulia.

Simili ma con tratti meno raffinati e grande disco policromo dietro al capo sono le antefisse da Antemnae al Museo Nazionale Romano.

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Hera di Cheramyes da Samo (Parigi, Musée du Louvre)

 

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Kylix del Pittore Saburov con Hera (Monaco, Staatliche Antikensammlungen)

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Hera. Possibile copia o variante dall’Hera di Alkamenes (Musei Vaticani)

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Iuno Sospita da Lanuvium (Musei Vaticani)

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