Il clima di grandi speranze portato dall’offensiva alleata nell’Italia centrale nell’estate del 1944 diede l’occasione alle formazioni partigiane del nord della penisola di cercare di scuotere con le proprie forze il gioco nazifascista, in ogni angolo dell’Italia occupata fiorirono iniziative di questo tenore che dall’Emilia alla Liguria, dalla Carnia alle Langhe portarono alla nascita delle repubbliche partigiane, il più luminoso sussurro di dignità di un paese umiliato da vent’anni di grottesca dittatura. Se tutte queste esperienze furono unite dal sincero sentire democratica e dal sogno reso ancor più luminoso dalla sua natura per molti versi utopica di potersi liberare una volte per tutte dalle catene fasciste quella sorta in Val d’Ossola si distinse per la maturità politica che seppe esprimere in quei drammatici momenti.
L’8 settembre 1944 le formazioni partigiane guidate da Alfredo Di Dio, Bruno Rutto e Dionigi Superti imposero la resa alle forze nazi-fasciste di stanza a Domodossola, i tedeschi accettarono la trattativa – mediata dall’arciprete Luigi Pellanda – mentre i fascisti provarono a resistere ma stretti dall’attacco partigiano furono rapidamente costretti a capitolare. Nel giro di pochi giorni il nuovo governo si trovava a controllare quasi duemila chilometri quadrati in un’area strategica di passaggio verso la Svizzera e diede atto ad un progetto politico capace di stupire il mondo.
Alla guida della repubblica venne costituita una giunta di governo formata da esponenti comunisti, socialisti, azionisti, democristiani e liberali entrata in carica il 9 settembre sotto la guida del professor Ettore Tibaldi di matrice socialista mentre un altro socialista Carlo Lightowler fu eletto sindaco. Ad essa si affiancavo collaboratori provenienti dalle frange più elevate dell’antifascismo militante e che avrebbero avuto un ruolo non piccolo nei dibattiti costituzionali successivi alla guerra come Umberto Terracini – segretario generale della futura costituente – Ezio Vigorelli, Piero Malvestiti. Un’intera futura classe dirigente si stava formando in quell’esperienza esaltante e convulsa.
A differenze di altre analoghe esperienze la giunta ossolana mostrò fin da subito una non comune capacità di far fronte alle esigenze della popolazione. Per primo si cerco di intervenire sulla disastrosa situazione dei rifornimenti alimentari, venne costituito un apposito servizio annonario coinvolgendo in un primo tempo la popolazione civile con la raccolta di eventuali scorte ancora presenti sul territorio e poi sfruttando la posizione geografica la riapertura di relazioni commerciali con la Svizzera. Un primo treno di provviste organizzate dalla Croce Rossa giunse a Domodossola il 22 settembre ma il progetto era di gran lunga più sistematico e prevedeva la creazione di una regolare rete commerciale regolare in cui prodotti industriali ossolani avrebbero pagato alla Svizzera i rifornimenti alimentari. Questo comportava un’autentica politica industriale con la riorganizzazione della produzione in parte destinata come detto all’esportazione e in parte alle forniture militari per i difensori. Le frequenti visite di esponenti politici elvetici di livello testimoniano l’efficacia della politica mantenuta dalla Repubblica partigiana nelle relazioni internazionali.
L’attività economica fu affiancata da un sistematico progetto di riorganizzazione politica. I singoli comuni della valle furono dotati di giunte di cinque elementi – sindaco con quattro assessori – provenienti da tutte le forze politiche affiancate da quattro consiglieri di nomina popolare; i singoli enti godevano di piena autonomia e il comitato centrale di Domodossola manteneva per se solo poteri di ratifica. In tal modo si cercava di creare la maggior partecipazione popolare e il maggior rigore democratico possibile in quella situazione.
Particolare cura fu data alla riorganizzazione della giustizia e della sicurezza in modo da prendere le maggiori distanze dal sistema di abusi della dittatura. Particolare ruolo ebbe Ezio Vigorelli incaricato di condurre i processi per reati politici e sostenitori di una linea fortemente garantista, non vi furono vendette o persecuzioni politiche ma regolari inchieste precedute da appositi mandati di comparizione mentre gli arresti erano limitati a coloro che si erano resi complici di tradimento e atti di violenza contro i patrioti ed in ogni caso andava garantito il rispetto della dignità di ogni prigioniero in voluta contrapposizione ai metodi fascisti. Non venne mai applicata la condanna a morte e venne abolito il lavoro forzato anche per gli internati nel campo di prigionia di Druogno in quanto stando all’espressione dello stesso Vigorelli “Il lavoro controvoglia non ha alcun valore rieducativo”. Com’ebbe a scrivere al riguardo Alessandro Levi “Questo rarissimo caso d’una guerra paesana che non degenera in una sciagurata sequela di violenze da ambo le parti, va segnalato, a mio avviso, come l’esempio della più difficile vittoria, di quella cioè, sopra i propri più istintivi sentimenti e risentimenti. Se un tale esempio fosse stato, e fosse tuttora, per ogni dove risaputo e seguito, più facile quella riforma del costume civile, che ogni uomo, pensoso delle sorti di questo nostro povero paese, deve contribuire ad attuare come necessaria ed urgente.”
L’attenzione alla giustizia e alla clemenza insieme all’efficacia del controllo territoriale svolto da nuove forze di Polizia estranee ai metodi repressivi fascisti furono fra le ragioni che spiegano l’assenza di disordini civili nella Repubblica ossolana nel corso della sua breve esperienza storica.
Il destino di questa straordinaria esperienza era però segnato sul piano militare e il Proclama Alexander del 13 novembre 1944 calava come una pietra tombale sulle repubbliche partigiane. La necessità di riorganizzazione dopo le pesanti perdite subite nello sfondamento della linea gotica – cui si aggiunge il pericolo rappresentato dalla disperata controffensiva tedesca nelle Ardenne – imponeva agli alleati un freno all’azione ma questo lasciava libere le mani alla rappresaglia nazi-fascista contro le forze democratiche del nord Italia. Abbandonata a se stessa nonostante le sempre più pressanti richieste di aiuto la Repubblica dell’Ossola aveva i giorni contati. Il 10 ottobre i nazi-fascisti lanciarono la controffensiva ma la resistenza delle formazioni partigiane fu eroica, in tredici giorni di aspri combattimenti le formazioni patriottiche riuscirono a infliggere pesanti perdite agli invasori e a garantire la smobilitazione delle popolazioni civili che con ogni mezzo lasciavano le valli cercando asilo in Svizzera o si univano alle formazioni combattenti. Lo scontro era impari con 3000 partigiani armati alla leggera a fronteggiare circa 5000 nemici dotati di tre cannoni d’assedio, di cinque carri armati e di una decina di autoblindo, le prime colonne fasciste entrarono a Domodossola il 17 ottobre ma fino al 23 la resistenza continuò nella valle. Quella che gli invasori si trovarono di fronte era una città spopolata, oltre 20000 persone hanno abbandonato le loro case tanto per sfuggire alle vendette dei vincitori quanto perché non più disposti a risprofondare nello sterco fascista dopo aver conosciuto la libertà mentre i gruppi combattenti riparavano verso la Valsesia dove si univano alle formazioni locali per riprendere l’offensiva all’inizio del 1945.
La repubblica era durato un battito di ciglia ma era stata un’esperienza indimenticabile ed infinitamente formativa per tutti coloro che vi avevano partecipato. Seppur annacquate dagli inevitabili compromessi della politica le istanze di vera democrazia e condivisa libertà seminati in quei giorni avrebbero rappresentato il terreno di coltura da cui sarebbero nata la Costituzione Repubblicana. Buon 25 aprile.