“Lei non toccava cibo con le mani, ma quando i suoi eunuchi lo ebbero tagliato in piccoli pezzetti, li portò delicatamente alla bocca con una piccola forchetta a due punte”, così Pier Damiani ricorda, più di un secolo dopo i fatti narrati, un episodio a prima vista banale ma destinato a provocare profonde trasformazioni nella storia occidentale.
L’arrivo a Venezia di Maria Argyropoulaina nel 1004 rivelo all’occidente barbarico una più alta civiltà che l’oriente greco aveva direttamente ereditato dal mondo ellenistico-romano e che invece era andata totalmente perduta sotto i colpi dell’affermazione barbarica in Europa. L’uso della forchetta è il simbolo di questa superiore civiltà che tornava in Europa grazie ai privilegiati rapporti fra Venezia e la Roma del Bosforo.
Il racconto del legato pontificio è più articolato, colmo di un odio profondo per quel modo di vivere orientale che Maria avrebbe introdotto in Italia e che ai suoi occhi rappresentava il segno di una profonda corruzione. A ben vedere le infamie della despoina orientale sono semplicemente la conseguenza di una precisa volontà di un vivere civile, di un circondarsi di una comodità e di una salubrità sentite come necessarie per un’esponente dell’alta società bizantina: Maria pretendeva di lavarsi con acqua piovana appositamente raccolta e si rifiutava di usare quella dei canali della città lagunare e profumava le proprie stanze con timo e altri odori, “un puzzo malvagio e vergognoso” secondo Pier Damiani.
La storia di Maria è esemplare nei rapporti fra Bisanzio e occidente. Da un lato il profondo debito dell’Europa verso quella figlia orientale di Roma, dall’altro l’incapacità di ammettere questo debito. Pier Damiani scrivo dopo la crisi del 1054, punto essenziale di questa incomprensione. Per quanto le reciproche scomuniche fra il legato pontificio Umberto da Silva Candita e il patriarca Michele Cerulario fossero state rapidamente superate l’eco di quello scontro avrebbe compromesso per sempre i rapporti fra le due parti dell’oikoumenes cristiano. Emblematico negli stessi anni il violento attacco portato da Otlone di Sant’Emmerman contro la memoria dell’imperatrice Teofano, responsabile di aver introdotto corruzione e mollezza nella corte imperiale d’Occidente.
Le crociate costrinsero ad incontrarsi i due mondi, ma quella conoscenza forzata non farà che compromettere ulteriormente i rapporti. Le crociate erano partite nel peggiore dei modi, specie per Bisanzio, ed erano proseguite in una totale incomunicabilità fra le parti. I bizantini avevano imparato da secoli a gestire la complessa diplomazia medio-orientale, a giocare su una scacchiera istabile di accordi e alleanze in cui ogni casella era giocabile e ogni porta aperta. Agli occhi degli occidentali l’ambivalente diplomazia bizantina era qualche cosa di prossimo al tradimento ed in alcuni caso i greci erano visti come ostili o apertamente traditori come in occasione dell’accordo anti-turco fra Andronico Comnemo e Saladino.
La reciproca incomprensione raggiunse il colmo con i fatti del 1204 e con le loro insanabili conseguenze. La brama di potere della Serenissima aveva totalmente pervertito l’idea della crociata Di fronte allo scempio compito l’Occidente fu costretto a giustificarsi e per farlo ricorse a tutti gli stilemi della propaganda antibizantina in uso fin dal 1054, la giustificazione divenne la demonizzazione dell’altro, l’infamia della quarta crociata giustificata dalla presunta doppiezza e vigliaccheria dei greci, eretici e traditori. L’eco di quella propaganda è giunto fino a noi, l’uso dispregiativo del termine “bizantino” è ancora lo strascico delle giustificazione del 1204.
Eppure proprio di fronte alla crisi del 1204 il mondo bizantino dimostrò la sua forza, colpito al cuore con una violenza che avrebbe distrutto qualunque sistema statale il vecchio, “decadente”, Impero mostro una impensabile capacità di reazione. Sotto le apparenze di un’eternità senza tempo lo stato bizantino era sempre stato capace di adattarsi alle circostanze, di modificare se stesso di fronte ai cambiamenti del mondo. Nelle nuove capitali di provincia l’Impero continuava se stesso in forma ridotta e nel 1261 l’imperatore di Nicea Michele VIII Paleologo rientrava nella vecchia capitale.
I fatti del 1204 non verranno però mai più superati, nemmeno di fronte alla montante minaccia turca le due anime del mondo cristiano troveranno un accordo, leggenda o meno la frase attribuita al grande ammiraglio Luca Notaras: “meglio il turbante turco che la tiara papale” rispondeva al sentire di una parte preponderante della società bizantina per la quale i latini erano decisamente più ostili ed estranei dei mussulmani, con i quali secoli di vicinanza avevano creato una cultura per molti aspetti condivisa.
Il legame fra Bisanzio e l’Europa è stato essenziale, senza Bisanzio l’Europa come la conosciamo non esisterebbe – solo la vittoria greca sugli arabi ha impedito a questi di dilagare in Europa . o comunque sarebbe diversa da come la conosciamo. A Bisanzio si era compiuta l’irripetibile integrazione di cultura greca, stato romano e religiosità cristiana; la seconda Roma sul Bosforo ha salvato per millenni il retaggio della classicità, lo ha fatto restare qualche cosa di vivo – come nell’utopistica restaurazione pagane di Pletone ma anche nell’estremo, commosso, richiamo alla romanità di Costantino XI Paleologo – per poi trasmetterlo all’umanesimo italiano che ne avrebbe fatto il fondamento della modernità. Dietro alla forchetta di Maria Argyropoulaina c’è un debito immenso che l’occidente ancora stenta a riconoscere.
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