Il ruolo delle donne nell’arte è stato troppo a lungo sottovalutato eppure non sono mancate figure di assoluto spicco al riguardo. Anche nell’antichità il ruolo delle donne è stato molto probabilmente decisamente maggiore di quanto ci sia dato conoscere tanto più in un mondo destinato a rimanere in gran parte anonimo. Apparentemente non esiste un’arte al femminile nel mondo orientale come non sembra esistere nelle civiltà mediterranee pre-classiche, ma ne siamo certi? E’ poco verosimile che in ambiti culturali in cui il ruolo delle donne essere così importante nella società – dall’Egitto faraonica alla Creta minoica fino all’Iran tanto achemenide quanto sassanide – non ci sia stata nessuna presenza femminile nel campo delle arti, semplicemente non potremo mai saperlo in un mondo dove non esiste una differenza concettuale fra arte e artigianato e dove di fatto non conosciamo nessun nome, nessuna identità degli artefici dei capolavori straordinari prodotti in quelle civiltà; le possibili presenze femminili scompaiono nella globalità dell’anonimato artigianale pre-classico.
Con il mondo greco la situazione cambia drasticamente, l’artigiano acquisisce una nuova consapevolezza della propria opera, compaiono le firme degli artefici e l’artigiano comincia a diventare artista, con il V a.C. si può riconoscere – pur all’interno di modalità di produzione tradizionale – il progressivo passaggio dell’artefice dal rango di artigiano a quello di intellettuale conscio della propria missione. L’emergere di specifiche individualità porta in evidenza anche una non trascurabile presenza femminile nel campo della produzione artistica, presenza già nota nella storiografia artistica ma arricchita da alcuni interessanti dati archeologici. Nel presente articolo si vuole fornire al vasto pubblico un quadro si spera soddisfacente delle principali artiste ricordate dalle fonti e delle possibili testimonianze dirette di artiste.
Timarete: Plinio la ricorda figlia di Mikon, il grande pittore maestro dello stile severo ed autrice di un’Artemide ad Efeso. L’espressione pliniana “tabula…antiquissima picturae” riferita al citato dipinto efesino fa sorgere dei dubbi sulla paternità indicata. Si potrebbe pensare ad una pittrice arcaica, figlia di un Mikon precedente il maestro del V a.C. e in questo caso avremmo forse la più antica testimonianza di una donna artista una cui opera era esposta in un luogo di così assoluta importanza – il fatto che il suo sia il primo nome nella lista pliniana potrebbe essere ulteriore indizio di arcaicità – oppure una pittrice ellenistica di stile arcaistico identificando il padre con il Mikon siracusano vissuto nel III a.C.
Eirene. Figlia e allieva di Kratinos attiva in età ellenistica, Plinio gli attribuisce l’immagine di una fanciulla – puellam – che si trovava ad Eleusi. Appare evidente l’errore di traduzione dell’enciclopedista romana rispetto al termine greco Kore che nel contesto non deve indicare una fanciulla ma la Kore per antonomasia, ovvero Persefone Eleusinia. Secondo alcuni studiosi gli andrebbero attribuiti i dipinti indicato da Plinio al nome di Kalypso. Sembra giusto sottolineare come le opere di queste pittrici trovassero esposizione nei maggiori santuari panellenici e non si può escludere il trattarsi di commissioni ufficiali, privilegi che le loro colleghe rinascimentali e moderne si vedranno a lungo interdetti.
Kalypso. Plinio la ricorda autrice di soggetti di genere: un vecchio, il prestigiatore Theodoros e il ballerino Alkisthenes quest’ultimo noto da un’iscrizione delfica databile intorno al 200 a.C. che darebbe la sicura cronologia dell’artista al medio ellenismo per altro già intuibile dai soggetti preferiti. L’esistenza di Kalypso è per altro messa in dubbio in quanto non si può escludere errore nella tradizione copistica del testo pliniano per cui Kalypso potrebbe non essere una pittrice ma il soggetto di un dipinto di Eirene.
Helene. Alessandrina, figlia di Timone e quindi vissuta a cavallo fra l’età di Alessandro Magno e quella dei Diadochi è ricordata da Tolomeo di Efestione (citazione in Fozio) e Plinio. La suo opera più celebre era una “Battaglia di Isso” considerata fra i possibili modelli per il noto mosaico pompeiano insieme al dipinto di analogo soggetto di Philoxenos di Eretria e ad una battaglia di Gaugamela di Apelle secondo la proposta di P. Moreno. Va comunque segnalato l’impegno come pittrice di storia – uno dei generi nobili per eccellenza delle arti figurative – e ritenendo improbabile una commissione privata per un simile soggetto non sembra improprio considerarla al diretto servizio dei primi Tolomei.
Aristarete. Ricordata solo da Plinio se ne ignorano l’origine e l’età in cui sia vissuta. E’ ricordata come autrice di un Asklepios che sembrerebbe indicare una datazione non anteriore al IV secolo, probabilmente in età ellenistica.
Iaia (Lala nel Codex Bambergensis). Plinio la dice nata a Cizico e vissuta al tempo di Marco Varrone – quindi intorno al 100 a.C. – svolse la sua carriera fra l’Asia Minore e Roma. Apprezzata principalmente come ritrattista Plinio ricorda un ritratto di vecchia a Neapolis e un autoritratto eseguito allo specchio. Sempre da Plinio sappiamo che le sue opere era particolarmente ricercate ed avevano quotazioni superiori a quelle dei maggiori ritrattisti del suo tempo. Abile sia nella tempera che nell’encausto viene ricordata per la velocità della sua pittura per cui possiamo pensarla appartenente al gusto compendiario della pittura tardo-ellenistica di derivazione alessandrina basata sulla costruzione delle immagini per rapidi tocchi di luce e di colore anziché su una rigorosa preparazione disegnativa. Plinio la dice perpetua virgo per cui è stata avanzata l’ipotesi che fosse una sacerdotessa.
Pittore di Leningrado. Ceramografo attico attivo entro il secondo venticinquennio del V a.C. è una delle personalità più significative del gruppo dei “Manieristi” attivi sulla tradizione di Myson e del Pittore di Pan. Pittore di forme ampie e di buona monumentalità – crateri a colonnette, grandi hydria – presenta una pittura facile ed esuberante anche se non sempre originalissima. Il pittore entra nel nostro discorso per l’immagine che compare su un’hydria databile intorno al 470 a.C. oggi a Vicenza nella collezione Banca Intesa. Ad essere rappresentata e la premiazione da parte di Atena e Nike di tre ceramografi evidentemente vincitori di un agone artistico. Sul lato destro compare la figura di una donna intenta a dipingere un cratere a volute. Per quanto esclusa dalla premiazione la sua posizione è tutt’altro che marginale, riccamente vestita è seduta su uno sgabello posto su un’alta pedana dalla quale sembra osservare e controllare la scena. Sicuramente si tratta di una pittrice ed è caratterizzata come una figura in qualche modo autorevole; se è esclusa dai festeggiamenti è per l’assenza di agoni misti nell’Atene del V a.C. ma la sua presenza ne attesta comunque l’importanza, forse è la proprietaria della bottega vincitrice che pur non avendo potuto gareggiare e stata comunque rappresentata o forse – siamo ovviamente nelle ipotesi ma la suggestione è affascinante – è lei stessa l’autrice del vaso in tal caso avremmo forse l’unica opera originale di mano femminile dell’antichità. In ogni caso la più antica immagine accertata di una pittrice in azione e all’interno di una bottega artigiana, non quindi un diletto aristocratico ma un autentico impegno produttivo.
Hera. Ignota alle fonti il suo nome appare sull’elmo di Atena in una moneta da Velia nello spazio normalmente destinato alla firma dell’incisore. Pur con tutti i dubbi del caso ci si potrebbe trovare di fronte ad un’intagliatrice di coni per monete incarico quindi di natura sicuramente pubblica ed istituzionale.
Sono solo queste le donne che si sono impegnate nell’arte durante il plurisecolare sviluppo della civiltà greca e romana? Ovviamente la risposta non può che essere negativa, questi sono solo i casi tramandati dalle fonti o dal caso dei ritrovamenti archeologici di una realtà che doveva essere molto più diffusa ma il cui ricordo si è perso nel diffuso anonimato che caratterizza anche l’arte greca e che ritorna quasi totalizzante in quella romana. Le raffigurazioni di pittrici – verosimilmente dilettanti – negli affreschi delle città vesuviane ci attestano una pratica del’esercizio anche amatoriale dell’arte sicuramente molto più diffusa di quanto si sia a lungo pensato, così come le lettere di Vindolanda ci hanno testimoniato di una familiarità diffusa con la scrittura anche nel mondo femminile – e Vindolanda è eccezionale per le condizioni di conservazione, non per il contesto sociale e se quello è il quadro di uno sperduto presidio ai confini del mondo non è difficile ipotizzare una pratica anche maggiore nelle famiglie della piccola e media borghesia commerciale e artigiana delle città mediterranee – ugualmente possiamo pensare per l’esercizio delle arti o almeno della pittura – la scultura per la sua fisicità è sempre stata esclusiva maschile – senza dimenticare la totale perdita di quelle forme di espressione artistica come la tessitura, il ricamo ma anche la miniatura dove la presenza femminile doveva essere assai significativa.
Ottimi spunti di riflessione su cui riflettere