Feeds:
Articoli
Commenti

Posts Tagged ‘Babilonia’

Il sincretismo fra tradizioni orientali e apporto greco visto nell’architettura e nell’urbanistica si ritrova nelle arti figurative. Purtroppo quasi nulla resta dell’arte ufficiale – o comunque di alta qualità artistica – e sono soprattutto le forme più popolari dell’artigianato artistico ci danno un quadro della situazione.

In particolar modo la coroplastica fornisce la percentuale preponderante dell’arte della Mesopotamia seleucide e della pluralità dei suoi linguaggi. La produzione di statuette fittili risale in quei territori alla notte dei tempi, prima delle città e delle dinastie rimontando i suoi inizi al pieno neolitico e mai si è interrotta nel corso della plurimillenaria storia successiva. I greci si trovarono dunque a introdurre le proprie tradizioni in un territorio ricco di tradizioni e di cultura artigiana e i risultati saranno quelli di un continuo scambio di modi e di suggestioni.

L’arrivo dei greci comporta in primo tempo un aggiornamento tecnico rispetto alle più conservative botteghe locali. I coloni greci introducono la lavorazione a matrice doppia e quella a stampo composito che si radicheranno rapidamente nei nuovi territori e se in una prima fase notiamo spesso una corrispondenza fra tecnica e soggetto in breve tempo statuette di pretto gusto greco saranno prodotte con tecnica orientale e statuine di tipo indigeno con tecnica ellenistica.

La Babilonia

Per quanto si sia detto di lasciare Seleucia ai margini della nostra riflessione in questo caso ciò è impossibile fornendo la nuova città le linee essenziali per la conoscenza della coroplastica greco-mesopotamica oltre ad aver restituito una percentuale preponderante della documentazione. La situazione di Seleucia trova riscontro – seppur in proporzioni molto minori – in quella di Babilonia e degli altri centri della regione. Un primo lotto di immagini ripropone modelli direttamente importati dai centri ellenistici mediterranei. E se il capolavoro del genere – una splendida figura femminile panneggiata alta quasi 30 cm ritrovata a Babilonia – potrebbe essere importata da qualche centro microasiatico – a un gusto prettamente greco si ricollegano le numerose statuette di Eracle – il cui culto era diffusissimo nella regione – in cui ritroviamo puntuali citazioni dei grandi gruppi lisippei come l’Eracle Epitrapezios o l’Eracle Farnese riprodotti dalle botteghe mesopotamiche fino alla piena età partica. Proprio Eracle raffigurano le due più importanti testimonianze di platica di più alto livello ritrovate nella regione, l’esemplare bronzeo da Seleucia (di cui si è già parlato in altra sede https://infernemland.wordpress.com/2015/09/23/grecia-iran-arabia-riflessi-di-culture-nei-bronzi-tardo-ellenistici-doriente/) e l’Eracle Epitrapezios di Ninive che pur essendo ai margini del territorio analizzato merita di essere descritto. Scala ridotta – circa 54 cm di altezza massima – scolpito in calcare locale riproduce in modo fedele l’Herahles Epitrapezios di Lisippo descritto da Marziale e Stazio. L’opera è firmata da un greco – Diogene – attivo nella regione e pienamente a conoscenza delle conquiste formali dell’ellenismo ma che le pratica con un certo gusto per linearità e la semplificazione dei dettagli che appare locale e che ritroveremo nella statuaria hatrena di epoca partica.

Alla tradizione greca appartengono le immagini di atleti e lottatori nudi – note quasi solo a Seleucia ma datate fino alla fine del periodo arsacide a testimoniare la profonda continuità di questo con l’epoca ellenistica; le maschere teatrali, alcune immagini di divinità femminili (Europa sul toro da Babilonia a Londra), le immagini infantili o adolescenziali con kausia di tipo macedone, scene erotiche di matrice ellenistica. Questi soggetti attestati con frequenza a Seleucia e Babilonia risultano più rari nelle altre città della sub-regione.

Rare le immagini prettamente orientali, in cui l’influsso greco non si faccia sentire anche solo superficialmente, si può citare il sacerdote rigidamente frontale in lunga tunica pieghettata dei Musei civici di Torino mentre le frequenti immagini di cavalieri e nobili parti in costume locale devono molto più all’ellenismo che all’Oriente se non altro per il gusto entrografico nella resa dei tratti tipici di aspetto e costume quando non nell’intera impostazione della figura come nella placchetta con arciere a cavallo lanciato all’attacco a Berlino o nel suo compagno stante, a tutto tondo della stessa collezione.

Lo stile più diffuso è quello ibrido in cui Grecia e Oriente dialogano a diversi livelli di intensità. Tipiche di questo sincretismo sono le frequenti figure femminili nude. Queste erano ben note alla tradizione locale – di solito nelle forme della Dea con le mani lungo i fianchi e di quella con le mani ai seni – ma ora vengono spesso raffigurate come recumbenti secondo uno schema ignoto alla tradizione locale e formatosi in Mesopotamia per suggestioni greche. Anche lo stile è ibrido con un modellato che semplifica a pochi elementi essenziali il gusto greco per l’anatomia; prevalgono le figure nude ma sono attestati anche esemplari vestiti di solito con abiti di tradizione iranica (recumbente del Kelsey museum di Ann Arbor). Anche i tipi stanti tradizionali subiscono mutazioni a contatto con le esperienze ellenistiche adattando ad esempio il metodo a matrici multiple che permette arti snodati. La stessa soluzione la ritroviamo in alcuni statutette di fanciulli di grandi dimensioni – la giovinetta seduta del museo di Ann Arbor da Seleucia è alta quasi 50 cm – dove ritroviamo un’insolita rifinitura con elementi in stucco. Analoghe considerazioni per le diffusissime figurine di musicisti. La musica ha sempre svolto un ruolo centrale nella cultura mesopotamica e molte immagini riflettono iconografie tradizionali – quasi sempre gli strumenti sono quelli della tradizione locale con poche aggiunte greche – mentre l’iconografia si muove fra forme di schietta tradizione ellenistica come in un bel gruppo da Babilonia a Londra oppure slentarsi in un linearismo popolare privo di ogni valenza plastica come in alcuni musici e danzatori di epoca arsacide con corpo a campana e tratti semplicemente accennati ma che recuperano il dettaglio ellenistico dell’articolazione delle gambe. Di un gusto deliziosamente alessandrino invece l’immagine caricaturale di una scimmietta arpista in una statuetta tardo-ellenistica da Babilonia. La stessa declinazione stilistica la troviamo nelle numerose figure femminili stanti, per lo più divinità nutrici, qui lo schema di partenza è prettamente greco e alcuni esemplari non si distinguono dai migliori tipi mediterranei ma al contempo si assiste a prolifera di varianti locali dove frontalità, mancanza di senso volumetrico e trattamento lineare la fanno da padroni. Significativamente queste tendenze sono sincroniche e non diacroniche con esemplari di pretta matrice ellenistica databili al tardo periodo partico (fino al II d.C.) ad altri di gusto indigeno e popolare di piena età seleucide.

La coroplastica è affiancata da una produzione di statuette in alabastro, affini a quelle fittili per gusto e dimensioni. Si tratta per lo più di figure femminili stanti o recumbenti di gusto prevalentemente locale anche se il nudo si ammorbidisce con il diffondersi di una diversa sensibilità luministica portata dai greci. Le acconciature sono indigene così come nella tradizione locale affondano i volti tondeggianti dai grandi occhi ovali e il gusto per le incrostazioni in pietre preziose.

La bassa Mesopotamia e l’Elimaide.

Il quadro così pluristratificato della Babilonia si semplifica nei territori meridionali della Caracene – l’antico paese di Sumer – dove l’attaccamento alla tradizione risulta più forte e dove anche le tecniche artigianali introdotte dai greci sono quasi sconosciute. La documentazione di Uruk – la più ricca della regione – presenta tipologie affini a quelle della Babilonia ma rese con un gusto più locale e orientale mentre mancano totalmente quei soggetti – erme, atleti, maschere teatrali – più intimamente connessi con la presenza greca. Prevalgono una rigida frontalità e un trattamento linearistico delle superfici che appiattisce in forme puramente grafiche il gioco chiaroscurale mentre alcune tipologie di figure – specialmente le divinità femminili – vedono schemi di lontana origine ellenistica riletti alla luce delle concezioni religiose locali e arricchiti di insoliti attributi come il copricapo a corna delle antiche divinità mesopotamiche o gli scorpioni che compaiono su alcune basi.

Da Borsippa proviene una statua in alabastro di medie dimensioni (oggi al British Museum) raffigurante una figura femminile panneggiata forse raffigurante la Dea Nanaia come farebbe pensare il crescente lunare che adorna la sua collana. La stata presentava una particolare ricchezza polimaterica; la voluminosa capigliatura oggi in gran parte perduta era realizzata in stucco dipinto di nero e sempre in stucco erano realizzate la collana e il bordo del mantello, gli occhi erano di pietra incastonata; altre pietre doveva essere fermata ai fori posizionati all’altezza dell’ombelico e dei capezzoli, sul panneggio sono state riconosciute tracce di pigmenti rosa mentre il bitume serviva per incastonare gli occhi. L’iconografia fonde suggestioni classiche – figura femminile panneggiata velato capite – con un gusto decorativo prettamente locale.

A Susa – sede di un’importante centro amministrativo seleucide – la situazione è più vicina alla Babilonia. I modelli di più forte tradizione greca sono attestati quanto e più che nella stessa Seleucia in quanto agli atleti, alle maschere, alle figure femminili panneggiate si affiancano qui con maggior frequenza immagini di divinità specie Eracle e Eros riprodotte secondo ben noti tipi della statuaria ellenistica così come molto frequenti le statuette ispirate al mondo del teatro rese con un gusto molto vicino ai prototipi greci. Proprio per questa profonda ellenizzazione del gusto sorprende in Susiana l’attaccamento alle forme produttive tradizionali con una limitatissima diffusione delle matrici doppie, un’assoluta preponderanza e quelle semplici e una spiccata preferenza per le figurine modellate direttamente a mano.

A Susa vanno riportati alcuni dei pochissimi esempi di scultura monumentale della regione. La testa della regina Musa realizzata nel I a.C. dallo scultore greco Antioco richiama i migliori ritratti dell’ellenismo rileggendo con raffinata idealizzazione la fisionomia del soggetto e integrandola con richiami alla grande scultura (Tyche di Antiochia). Il ritratto di Musa ci fornisce un’unica e per questo ancor più preziosa suggestione per poter immaginare la ritrattistica ufficiale seleucide cui doveva evidentemente ispirarsi e che per noi è totalmente perduta. Ulteriore testimonianza dello stesso è un altro ritratto femminile dalla città forse una principessa o una giovane regina pettinata secondo la moda ellenistica con solo un leggero diadema a stringere la fronte.

La produzione di scultura monumentale continua in età partica con il grande principe in bronzo da Shami (vedi https://infernemland.wordpress.com/2015/09/23/grecia-iran-arabia-riflessi-di-culture-nei-bronzi-tardo-ellenistici-doriente/) e che arriva alla fine del II d.C. con una testa in calcare dall’apadana di Susa in cui la freschezza del modellato ellenistico si è irrigidito in una visione tutta grafica e superficiale che la avvicina – pur nelle diversità di contesto – a certi coevi prodotti dell’arte provinciale romana ma che mantiene nella capacità di osservazione dei tratti etnici del ritrattato – probabilmente un dignitario iranico – l’ultima eco della tradizione ellenistica.

Eracle Epitrapezio da Ninive (Londra, British Museum)

Figura femminile panneggiata tipo "tanagrina" da Babilonia (Londra, British Museum)

Statuetta di Dea (Nanaia?) in alabastro da Borsippa (Londra, British Museum)

Testa in marmo della REgina Musa da Susa (Teheran, National Museum of Iran)

Read Full Post »

L’importanza della Mesopotamia nel progetto politico di Alessandro è implicita nella volontà di fare di Babilonia la capitale del suo regno. Una scelta in parte confermata dai Seleucidi dopo la loro definitiva assegnazione dell’Oriente e la fine dei progetti unitaristici di Antigono Monoftalmo.

La linea politica di Seleuco Nicatore e dei suoi più immediati successori rappresenta quella più prossima alla volontà di Alesandro di creare un nuovo mondo multietnico e multiculturale in cui greci e barbari si sarebbero fusi per creare un nuovo, unico, popolo. Seleuco era stato fra i pochi generali di Alessandro a tenere al suo fianco, dopo la morte di quest’ultimo, la moglie persiana – Apame figlia di Spitamene di Battriana – e questa sarà la madre dell’erede al trono Antioco. Mentre nell’Egitto tolemaico la spaccatura fra macedoni e indigeni si acuiva sempre più i Seleucidi portavano avanti con rigore una politica di integrazione ponendo se stessi come eredi delle antiche monarchie orientali su cui essi si trovavano a regnare.

In Mesopotamia il cuore di questa politica divenne rapidamente Seleucia sul Tigri – al-sharruti (la dimora del Re secondo l’onomastica accadica) la nuovo colonia fondata per essere metropoli d’Asia a un tempo greca, iranica e semitica. Ma Seleucia è un contesto troppo grande e troppo particolare per essere trattato in questa sede, rimarrà per ora sullo sfondo, presente ma non approfondita mentre si porrà attenzione a come il nuovo potere macedone viene a intervenire su centri di millenaria tradizione.

La documentazione è purtroppo molto scarsa, gli scavi in Mesopotamia hanno cercato per anni le gloriose città dell’età del bronzo e del ferro considerando di scarso interesse – se non quasi un ingombro – le fasi ellenistiche e arsacidi, questo ha comportato un’enorme messe di informazione solo in parte confermata dalle fondi documentarie greche o accadiche.  Nella seguente analisi verrà considerato anche il periodo arsacide, almeno per i primi secoli, in quanto questo appare in piena continuità con le esperienze ellenistiche quando non momento di piena maturazione dei semi piantati al tempo dei seleucidi.

L’urbanistica e l’edilizia.

Il primo tratto che colpisce è la varietà delle soluzioni adottato ma in ogni caso con una prevalenza dei modelli indigeni. Praticamente la sola Seleucia – fondata ex-novo e con una significativa presenza di coloni greci – è impostata secondo un rigoroso schema ippodameo. Babilonia presenta una struttura pluristratificata, già durante il periodo neo-babilonese si era assistito a una razionalizzazione di vaste aree dell’impianto urbano che favorirono l’ulteriore opera di geometrizzazione degli ingegneri greci ma a fianco di questi spazi ne sorgevano altri caratterizzati da strette vie sviluppate in modo caotico e prive di pianificazione, l’eterna forma dei quartieri commerciali d’Oriente. I centri minori tanto al nord quanto al sud presentano in genere quartieri di questo tipo, con le sole aree monumentali ben definite all’interno del fitto tessuto urbano. Hatra con la sua pianta circolare e l’organizzazione del tessuto intorno al grande tempio di Shamash rappresenta un caso difficilmente definibile in cui a fianco di un modello urbano prettamente partico troviamo le particolarità di una città santuario oggetto di importanti flussi di pellegrinaggio.

Anche per quanto riguarda le abitazioni sembra prevalente il tipo indigeno. Il modello più diffuso è quello mesopotamico della casa a cortile che può raggiungere anche dimensioni di una certa monumentalità. Lo schema presenta un grande cortile centrale di forma prevalentemente quadrilatera dotato di strutture di servizio – sistemi di drenaggio, forni – intorno a cui si disponevano i vari ambienti della casa, le dimore più lussuose potevano disporre di magazzini e di un secondo cortile più piccolo intorno a cui si disponeva il cosiddetto gineceo. Questa è la casa più diffusa nella stessa Seleucia, dominante a Babilonia e quasi esclusiva altrove. Si tratta per altro di un tipo di abitazione che – pur con tutte le differenze del caso – non doveva sembrare così estraneo agli stessi coloni greci che potevano facilmente adattarsi ad essa. Abitazioni di tipo prettamente ellenistico con peristilio colonnato sono attestate a Seleucia e nel quartiere di Merkes a Babilonia, più raramente altrove.

Con la conquista partica si assiste a una progressiva trasformazione delle abitazioni, specie quelle più prestigiose, dovuta alla diffusione degli iwan di derivazione nomade che stravolgono la struttura tanto delle abitazioni di tipo ellenistico tanto di quelle alla greca.

Le città e i monumenti.

Babilonia. La ricchezza delle fonti – storiche e archivistiche – compensa in parte la sconfortante assenza di resti materiali. Già Alessandro aveva pensato a un restauro sistematico dell’Etemenanki, la colossale ziqquarat che un tempo dominava la città e che al momento dell’arrivo del macedone era già in rovina. Se l’ambizioso progetto non fu mai portato in porto numerose tracce di interventi attestano sgomberi di macerie e restauri conservativi in età seleucide. Se non ci sono dati su un utilizzo effettivo dell’Etemenanki sicuramente in funzione era l’Esagila, il santuario di Marduk nella città bassa oggetto di ricostruzioni in età ellenistica e il cui uso è attestato anche nel primo periodo partico.

A differenza delle altre città mesopotamiche Babilonia conobbe una ricca fioritura di edifici monumentali alla greca di cui le fonti epigrafiche ci danno testimonianza dell’esistenza di un’agorà alla greca, di un ginnasio e di un teatro, di quest’ultimo sono state rinvenute alcune tracce in mattone crudo ai margini della collina dell’Etemenanki e frammenti della decorazione in puro stile greco. Alcune murature adiacenti al teatro che definiscono un vasto spazio rettangolare sono forse da attribuire al ginnasio. Solo in età partica – ma nel più puro gusto ellenistico – la via sacra venne dotata di portici colonnati sul modello delle città siriane.

Da Babilonia provengono alcuni frammenti di capitelli corinzi in terracotta invetriata. Si tratta di una tipologia nota anche a Seleucia e ai confini opposti del mondo ellenistico orientale a Nysa-Mitridatkert la prima capitale degli Arsaici e ad Ai Khanoun in Battriana. Si tratta di capitelli composti da più frammenti uniti fra loro, con vetrinatura che copre i punti di raccordo. Come è evidente sono elementi puramente decorativi e priva di qualunque funzione statica. Non è forse importuno notare come se per i greci il legame fra funzione e forma fu sempre prioritario ed essenziale per i mondi “barbarici” ellenizzati questo era un concetto marginale mentre i singoli elementi degli ordini greci potevano essere presi e riusati a prescindere dalle ragioni statiche che ne avevano segnato la nascita. Da questo punto di vista il mondo partico e battriano non si comportano diversamente da quello punico o italico e dalla stessa arte romana che nei confronti degli ordini mostra spesso un atteggiamento altrettanto disinvolto.

Uruk. Il quadro è in qualche modo inverso rispetto a Babilonia, la documentazione storica e molto scarsa mentre ricche sono le tracce architettoniche. Città sostanzialmente sacra Uruk mantenne per tutto il periodo ellenistico il suo aspetto tradizionale mentre l’attività dei sovrani di esplicava in restauri e ampiamenti dei maggiori edifici cittadini sempre nel rispetto delle forme e del gusto decorativo locale.

Il Bit Resh, il grande santuario cittadino dedicato ad Anu e Antum viene totalmente ricostruito nel III a.C. a ridosso dell’antica ziqquarat in modo da ribadire in modo esplicito la volontà di richiamarsi alle tradizioni ancestrali della città. Il nuovo edificio si ricollega totalmente all’architettura tradizionale, la planimetria organizzata su una serie di cortili di diversa funzionalità si richiama alla più antica tradizione babilonese. Indigeni sono anche l’uso prevalente del mattone crudo così come lo sviluppo delle facciate con alte torri quadrangolari sormontate da merli scanalati di tipo achemenide, le pareti esterne erano rivestite di mattoni smaltati  e una processione di animali reali e fantastici correva subito sotto le merlature. Tutto sembra tradizionale ma alcuni dettagli planimetrici e decorativi così come i nuovi rapporti fra santuario e ziqqurrat con la prevalenza del primo indicano che sono in corso trasformazione anche in un contesto così conservativo. Di fronte al Bit Resh alla fine del III a.C. viene costruito l’Irigal dedicato a Ishtar e Nanna. Solo parzialmente scavato esso è realizzato in mattoni cotti e si organizza secondo moduli tradizionali. L’ultima testimonianza d’uso del templi è al 108 a.C., in seguito le fonti tacciono ed è verosimile che i complessi siano stati danneggiati  abbandonati nei convulsi decenni successivi, agli inizi del I d.C. l’area era rioccupata da un villaggio fortificato nei pressi del quale venne costruito un piccolo tempio di forme romanizzanti.

Molto più tardo e autonomo rispetto agli esempi citati il tempio di Gareus costruito alla periferia del città probabilmente nel II d.C. probabilmente su commissione di comunità mercantili provenienti dalla Mesopotamia settentrionale. Per quanto di epoca partico il tempio, con il suo sincretismo di elementi orientali e occidentali sembra portare a compimento le suggestioni diffuse nella regione dall’ellenismo. Posto in un vasto themenos il tempio presenta ancora la classica planimetria mesopotamica ma gli alzati non mancano di originalità, in fronte il tempio è preceduto da un portico di colonne laterizie su basi in pietra modanata mentre le pareti della cella sono caratterizzate da arconi ciechi in laterizio alternati da semicolonne ioniche che evocano inevitabilmente modelli romani. Il fregio che correva sopra la cella mantiene i classici soggetti animalistici lo stile non ha più nulla della tradizione mesopotamica, la pietra ha sostituito le terrecotte smaltate e i confronti più diretti li troviamo con i fregi partici di Hatra o con rilievi zoomorfi palmireni.

Altri centri della Mesopotamia meridionale:  Gli interventi seleucidi non sono mancati negli altri centri della regione ma la documentazione è più limitata e di difficile interpretazione. A Nippur la presenza seleucide è attestata in tutta la città da grandi quantità di materiali ceramici e da alcune sontuose abitazioni databili fra il periodo ellenistico e l’inizio di quello partico di tipo greco con peristilio colonnato. Sappiamo di restauri significativi nel tempio di Inanna mentre la ziqquarat appare quasi abbandonato e riutilizzata come fortificazione entro il I d.C. Intorno alla metà del II d.C. all’interno della ziqquarat sono scavati quattro iwan che attestano un uso forse cerimoniale dell’area.

A Susa la povertà dei resti architettonici contrasta con la ricchezza della documentazione sculturea (cui si rimanda alla seconda parte) e le testimonianze epigrafiche. L’esistenza di un ginnasio è documentata epigraficamente ma non si sono rinvenute tracce dell’edificio, archeologicamente significative invece le testimonianze dell’edilizia privata con abitazioni signorili di impostazione prevalentemente indigena ma con apparati decorativi alla greca. Limitate alla piccola plastica, alla ceramica e alla numismatica le testimonianze della frequentazione ellenistica a Ur e Borsippa.

Non vengono qui analizzati i centri della Mesopotamia settentrionale soggetti a vicende totalmente diverse, scarsamente interessati da interventi in età ellenistica vedono una grande fioritura nel pieno periodo partico secondo linee di sviluppo che ormai non sono più né mesopotamiche né greche ma pienamente inserite nella cultura architettonica dell’Iran partico e del rapporto fra questo e le suggestioni provenienti dal mondo romano.

Babilonia. Ricostruzione del quartiere del teatro.

 

Seleucia sul Tigri. Frammento di capitello di lesena in terracotta invetriata.

Uruk. Ricostruzione del Bit Resh

Uruk. Tempio di Gareus

Read Full Post »