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Il Foro: considerazioni generali

 Il foro risulta posizionato al centro dell’area urbana, in stretta connessione con il sistema viario. Il decumanus maximus, tratto urbano della via Emilia Gallica proveniente da Verona verso Milano, attraverso il foro, dividendo l’area sacra sopraelevata occupata dal Capitolium dalla piazza del foro; a sud della basilica doveva collegarsi al cardo maximus, che proseguiva verso Cremona. La posizione del foro, in stretta connessione con i principali assi viari della regione, è collegata al ruolo commerciale di primaria importanza che la città doveva avere fin da età protostorica.

 All’inizio del II secolo a.C. venne costruito un primo tempio monumentale, nell’area successivamente occupata dal santuario tardorepubblicano, e infine dal Capitolium flavio, forse in occasione del primo trattato fra i Cenomani e Roma (194 a.C.). Si trattava di un edificio in opera quadrata con atrio scoperto lastricato ; una struttura di questa monumentalità richiedeva per la sua fruizione uno spazio aperto antistante, questo testimonierebbe la destinazione a spazio aperto pubblico di quest’area già al tempo dell’oppidum gallico.

 I dati archeologici  raccolti testimoniano che l’edificio venne demolito in occasione della costruzione del santuario tardo repubblicano, probabilmente intorno alla metà del I secolo a.C..

 In età augustea la città fu interessata da numerose iniziative edilicie che riguardarono anche l’area del foro: interventi di restauro nel santuario repubblicano, la pavimentazione della piazza , il teatro, la possibile costruzione di portici e botteghe ai lati della piazza e forse la primitiva basilica .

 L’aspetto definitivo della piazza verrà raggiunto in età flavia. La quota della terrazza templare, su cui viene costruito il nuovo Capitolium viene rialzato di circa 3 m, lo stesso innalzamento riguarda la platea forense. La piazza del foro viene completamente isolata rispetto alla circolazione viaria, i portici del tempio e quelli della piazza si collegano fra loro, rispecchiando la volontà di riunire in un locus celeberrimus tutti gli organismi civili e cultuali della città .

 Tale concezione era enfatizzata dalla naturale pendenza dell’area, sul lato sud la luminosa basilica-portico introduce nella piazza forense, che sale progressivamente verso il decumanus maximus, una serie di raccordi collega le varie sezioni del portico, quindi la terrazza del Capitolium elevata di 8 m rispetto alla piazza, al fondo la sagoma del colle Cidneo anch’esso coronato da un edificio templare. E’ stato giustamente osservato che questa disposizione “ rivela la componente pergamena nella cultura degli urbanisti operanti in Transpadana” ; tanto da far definire il complesso bresciano “il più ellenistico dell’Italia settentrionale” .

La platea forense

La platea forense si presenta come un rettangolo, fortemente allungato in senso N, dalle dimensioni di 120 m X 40 m, ed un rapporto di 1:3; gli scavi recenti hanno confermato l’intuizione di Frova sull’arcaicità delle dimensioni del foro bresciano; questo parrebbe confermare l’antichità dello spazio bresciano, forse già presente nell’insediamento gallico, con una prima monumentalizazzione risalente ad età augustea.

Le strutture archeologicamente note sono quelle del radicale intervento di epoca flavia, ma scavi recenti hanno riportato in evidenza, ad E del podio del Capitolium, resti di un robusto battuto di pietre e malta, che potrebbe essere interpretato come il pavimento della piazza in età augustea.

La piazza iniziava a nord, con un dislivello di 8 m dalla terrazza capitolina, dalla quale di discendeva al livello del decumanus maximus, con una scalinata larga almeno 6 m, e forse divisa in due rampe.  Procedendo verso Sud la piazza presenta un dislivello di altri 4,50 m, probabilmente risolto con piani di raccordo.

La piazza era cinta da portici, che collegandosi con quelli della terrazza templare, trasformavano la piazza in uno spazio chiuso, aperto solo al traffico pedonale, e dominato dalla monumentale struttura del Capitolium. Questo genere di soluzione trova origine nel modello di alcune piazze ellenistiche in cui portici e tempio risultano strettamente connessi, si vedano il mercato nord di Mileto e il santuario di Zeus Soter a Megalopoli. In epoca flavia questa concezione dello spazio trova un significativo riscontro nel Forum Pacis, la cui costruzione e leggermente posteriore al complesso bresciano. La viabilità era garantita da due fornici, in corrispondenza del decumanus maximus, rialzati di tre gradini rispetto alla strada e quindi preclusi al traffico veicolare, sul lato sud la basilica poteva forse servire come ingresso monumentale al foro. I fornici si presentavano come arcate su pilastri che interrompevano il ritmo orizzontale dell’architrave del colonnato, con una soluzione che trova confronti solo nelle più ardite sperimentazioni delle vie colonnate di Apamea e Palmyra.

Il portico era formato da colonne monolitiche in cipollino (diametro 0.67 m, altezza con base e capitello 6.33 m, intercolumnio 2,90 m); la trabeazione in un unico pezzo per ciascun intercolumnio (3,23 m), era ornata di lacunari e presentava una cornice aggettante tanto all’interno quanto all’esterno. In corrispondenza delle colonne la trabeazione presenta un maggior aggetto; motivo nuovo introdotto dall’architettura flavia che articola le membrature architettoniche e situa le colonne su plinto addossate alla parete con leggero stacco in modo che l’architrave e la cornice vi girino sopra per poi riprendere il normale andamento del muro.

Questo risalto è stato interpretato dal Gabelman come testimonianza di un ordine superiore sull’esempio di Zara; questa ricostruzione si scontra però con la necessità di raccordo con i portici della terrazza capitolina; più probabile la presenza di un attico come proposto da Mirabella Roberti e condiviso da Frova.

Gli architravi sono a tre fasce, senza ornamenti; i lacunari presentano un fiorone centrale e gli steli fiancheggiati da semipalmette, uscenti dal cespo d’acanto nascente dall’imposta della colonna; i frammenti scultorei di architrave sono certamente pertinenti al portico dalla modanatura del risalto, corrispondente al colonnato.

Alle spalle del colonnato era un portico (5 m di profondita), sul quale si apriva una serie di tabernae, l’unico vano pertinente ad esse fino ad ora rinvenuto aveva una profondita di 7, 40 m, la larghezza attualmente visibile è di 5,50 m. Presentavano pavimento in cocciopesto rivestito da lastre e perimetrali interni in corsi di sesquipedali; null’altro si può dire, allo stato attuale delle ricerche di dette strutture.

Recenti scavi hanno rivelato, al di sotto dei portici di età flavia, resti di strutture in blocchi ben squadrati, nonché frammenti di intonaco dipinto e di un mosaico policromo, forse pertinenti alle strutture di epoca augustea.

All’interno di un isolato, collocato ad ovest del foro, ma strettamente connesso ad esso, sono emersi i resti di un grande edificio termale: strutture complesse pertinenti a vasche, un calidarium, resti di un ipocausto con relativo praefurnium. Detta struttura costruita nel I d.C. rimase in uso almeno fino al IV d.C.

La basilica

Il limite meridionale della platea forense è occupato, in epoca flavia, da una basilica di notevole monumentalità, ben nota per quanto riguarda il prospetto delle facciate ma assolutamente priva di dati per quanto riguarda l’organizzazione interna.

La basilica occupava completamente il lato lungo meridionale del foro, in posizione speculare rispetto al complesso templare, secondo uno schema ben attestato in Cisalpina .

            Le facciate si sviluppavano con una alternanza di porte e finestroni, con una porta al centro e procedendo verso le ali una scansione ritmica di tre finestre, una porta, tre finestre, diaframmate da alte lesene corinzie sorreggenti la trabeazione. Tale ricchezza di aperture risulta abbastanza insolita per una basilica, spazio chiuso complementate a quello aperto del foro, e di conseguenza portato ad una minor accessibilità ed a una più rigorosa chiusura, per garantire il necessario isolamento dell’edificio . Questa ricchezza trova un possibile confronto con la basilica di Doclea , con quattro porte inquadrate da colonne libere architravate e intervallate da pareti con profonde aperture superiori ed una finestra al livello di ciascun portale.

Non vi è nessuna certezza per quanto riguarda l’organizzazione interna del complesso. La ricostruzione fatta da Mirabella Roberti , convince per quanto concerne le dimensione della lunghezza del vano e dell’edificio nella sua totalità, molto meno per la sua organizzazione. La sua ricostruzione prevedeva una peristasi interna di 14 colonne per 5. Anche se basiliche a peristasi interna sono ben attestate, ad esempio Pompei, nessun dato archeologico sembra render possibile una tale impostazione nel caso bresciano, se non, forse, la dimensione della campata di 19.10 m.

Più convincente la ricostruzione proposta da Saletti , accettata anche da F. Rossi , rimasta la più probabile anche dopo gli ultimi scavi. Viene quindi ipotizzata un’aula unica, forse organizzata in tre ambiante da due file di due colonne ciascuna, corrispondenti alle paraste esterne delle due porte laterali. Detta soluzione trova confronto con quella analoga della basilica di Doclea, che presenta altri ternimi di confronto con quella bresciana; inoltre è più facile vada persa la documentazione di quattro colonne anziché di trentaquattro. In oltre in questo caso il rapporto nella lunghezza dei singoli ambienti di testata rispetto al vano centrale risulterebbe 1:3, lo stesso rapporto che ritorna come equilibratore della facciata . L’ipotesi dell’aula unica ben si lega, inoltre, a spiegare la trabeazione molto alta e quindi lo sviluppo in altezza di un’unica cortina muraria di facciata, con copertura a due spioventi e linea di displuvio parallela al lato lungo .

Il complesso presenterebbe una assoluta intercomunicabilità fra l’interno e l’esterno, cosa che a fatto supporre a Mansuelli  che servisse come ingresso monumentale al foro. Tale ipotesi trova un possibile precedente nella basilica Iulia di Corinto , che svolge anche la funzione di monumentalizzare l’accesso all’agorà romana.

Il possibile confronto con Corinto è stato ulteriormente confermato dagli ultimi scavi, come a Corinto esisteva una basilica di tipo tradizionale, così a Brescia, sotto la basilica flavia, si sono ritrovati due possenti muri paralleli, con andamento O-E, realizzati con un doppio paramento in pietre di varia pezzatura, disposte in corsi regolari, e con riempimento interno in opera cementizia. I resti interpretabili come pertinenti ad una struttura monumentale, probabilmente una precedente basilica, di tipo tradizionale, e vengono datati ad età augustea .

La decorazione architettonica

La ricca decorazione architettonica del complesso bresciano, rappresenta un insieme omogeneo, particolarmente significativo per la storia della scultura architettonica non solo in Cisalpina. Essa infatti rappresenta il primo esemplare sicuramente datato in Occidente di un nuovo modo di concepire l’ornato vegetale in funzione architettonica, come riconosciuto dal Blanckenhagen .

La precocità del complesso è ulteriormente confermata dalle discordanze in esso riscontrabili. Infatti, al fianco di differenze qualitative nella realizzazione tecnica, per altro assolutamente prevedibili in un complesso di così ampie proporzioni, e in parte legate al gusto locale, provinciale; se ne ritrovano altre di natura prettamente stilistica, con la convivenza, al fianco dei motivi innovatori tipicamente flavi, di altri di tradizione augustea e giulio-claudia . La coesistenza dei due stili è stata riconosciuta dal Gabelmann , il quale si limita però ha constatare che i presupposti dello stile flavio si trovano già in età tardoclaudia, e che nel complesso bresciano i due stili convivono.

La ricerca successiva  si è posta maggiori problemi, tra cui quello della ripartizione del lavoro, problema per altro molto spinoso. Infatti è possibile ipotizzare la presenza di maestranze urbane che eseguono i cieli delle architravi e i fregi, ed altre locali impegnate nella realizzazione di capitelli e cornici, legate ad un gusto più tradizionale e meno disposte ad aggiornarsi ai modelli esterni, ma non vi sono prove in tal senso, è la stesso gusto delle botteghe urbane non doveva essere completamente cambiato nel 73, agli inizio del nuovo stile.

Per altro le sculture del complesso forense, eseguite tutte in botticino, mostrano numerosi elementi di continuità con la produzione locale. L’uso del botticino, al fianco della pietra tenera di Vicenza, fin da datazione molto alta è attestato da un capitello ionico-italico di tarda età repubblicano , oltre che dal già citato rivestimento della terrazza capitolina, databile ad età augustea.

Fra l’altro i tre capitelli in situ (pronao del Capitolium, portico del foro  e lesena della basilica), presentano notevoli differenze stilistiche, tanto da far pensare a un lungo periodo di lavorazione, forse già cominciato prima dell’età flavia. Retrodatazione che urta con la data della vittoria di Bedriacum (69 d.C.), che si suppone determinante per l’inizio del progetto. Rimane dunque aperto il problema della presenza di un cantiere aperto prima del 69 d.C. (ma si potrebbe pensare anche solo ad un cantiere di restauro, i cui materiali possono essere stati riutilizzati nel nuovo complesso), anche se è inequivocabile che il progetto nel suo complesso possa cominciare solo nel 69 d.C., e attuarsi, anche con più fasi distinte, tra il 69 e il 73 d.C .

            Tra i numerosi frammenti di scultura architettonica si possono riconoscere alcuni gruppi più significati, pur essendo ancora necessaria una precisa ricognizione, rilevazione e schedatura di tutti i frammenti ritrovati

La basilica conserva buona parte della facciata muraria, scompartita da lesene a 7 scanalature, rudentate nella parte inferiore, con capitelli corinzi (molto mal conservati), nonché le cornici delle aperture e parte della trabeazione, che testimoniano le presenza di un ricco ordine applicato, la cui funzione decorativa era esplicata principalmente in termini geometrici .

            Nella decorazione del complesso grande importanza dovevano avere gli elementi bronzei, cornici ornate che dovevano contribuire in modo significativo alla resa coloristica dell’insieme. Un notevole gruppo di esemplari è stato ritrovato, si tratta di cornici di varie dimensioni, lisce o modanate, frequente la presenza di elementi decorativi a rilievo o ad agemina . La decorazione bronzea era completata da una ricca dotazione di grande statuaria, in gran parte conservata, tanto da fare dell’insieme dei bronzi ritrovati nell’area del Capitolium uno dei più ricchi del mondo romano, esso comprende la celeberrima Vittoria alata, cinque ritratti di cui uno femminile (Giulia di Tito o Domizia Longina) e quattro maschili (Settimio Severo, due ritratti di Marco Aurelio Propo, Claudio II il Gotico), da frammenti di una biga, nonché da elementi decorativi minori.

Le parti relative agli edifici di culto sono già state oggetto di specifiche trattazioni cui si rimanda.

 

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L’importanza della Mesopotamia nel progetto politico di Alessandro è implicita nella volontà di fare di Babilonia la capitale del suo regno. Una scelta in parte confermata dai Seleucidi dopo la loro definitiva assegnazione dell’Oriente e la fine dei progetti unitaristici di Antigono Monoftalmo.

La linea politica di Seleuco Nicatore e dei suoi più immediati successori rappresenta quella più prossima alla volontà di Alesandro di creare un nuovo mondo multietnico e multiculturale in cui greci e barbari si sarebbero fusi per creare un nuovo, unico, popolo. Seleuco era stato fra i pochi generali di Alessandro a tenere al suo fianco, dopo la morte di quest’ultimo, la moglie persiana – Apame figlia di Spitamene di Battriana – e questa sarà la madre dell’erede al trono Antioco. Mentre nell’Egitto tolemaico la spaccatura fra macedoni e indigeni si acuiva sempre più i Seleucidi portavano avanti con rigore una politica di integrazione ponendo se stessi come eredi delle antiche monarchie orientali su cui essi si trovavano a regnare.

In Mesopotamia il cuore di questa politica divenne rapidamente Seleucia sul Tigri – al-sharruti (la dimora del Re secondo l’onomastica accadica) la nuovo colonia fondata per essere metropoli d’Asia a un tempo greca, iranica e semitica. Ma Seleucia è un contesto troppo grande e troppo particolare per essere trattato in questa sede, rimarrà per ora sullo sfondo, presente ma non approfondita mentre si porrà attenzione a come il nuovo potere macedone viene a intervenire su centri di millenaria tradizione.

La documentazione è purtroppo molto scarsa, gli scavi in Mesopotamia hanno cercato per anni le gloriose città dell’età del bronzo e del ferro considerando di scarso interesse – se non quasi un ingombro – le fasi ellenistiche e arsacidi, questo ha comportato un’enorme messe di informazione solo in parte confermata dalle fondi documentarie greche o accadiche.  Nella seguente analisi verrà considerato anche il periodo arsacide, almeno per i primi secoli, in quanto questo appare in piena continuità con le esperienze ellenistiche quando non momento di piena maturazione dei semi piantati al tempo dei seleucidi.

L’urbanistica e l’edilizia.

Il primo tratto che colpisce è la varietà delle soluzioni adottato ma in ogni caso con una prevalenza dei modelli indigeni. Praticamente la sola Seleucia – fondata ex-novo e con una significativa presenza di coloni greci – è impostata secondo un rigoroso schema ippodameo. Babilonia presenta una struttura pluristratificata, già durante il periodo neo-babilonese si era assistito a una razionalizzazione di vaste aree dell’impianto urbano che favorirono l’ulteriore opera di geometrizzazione degli ingegneri greci ma a fianco di questi spazi ne sorgevano altri caratterizzati da strette vie sviluppate in modo caotico e prive di pianificazione, l’eterna forma dei quartieri commerciali d’Oriente. I centri minori tanto al nord quanto al sud presentano in genere quartieri di questo tipo, con le sole aree monumentali ben definite all’interno del fitto tessuto urbano. Hatra con la sua pianta circolare e l’organizzazione del tessuto intorno al grande tempio di Shamash rappresenta un caso difficilmente definibile in cui a fianco di un modello urbano prettamente partico troviamo le particolarità di una città santuario oggetto di importanti flussi di pellegrinaggio.

Anche per quanto riguarda le abitazioni sembra prevalente il tipo indigeno. Il modello più diffuso è quello mesopotamico della casa a cortile che può raggiungere anche dimensioni di una certa monumentalità. Lo schema presenta un grande cortile centrale di forma prevalentemente quadrilatera dotato di strutture di servizio – sistemi di drenaggio, forni – intorno a cui si disponevano i vari ambienti della casa, le dimore più lussuose potevano disporre di magazzini e di un secondo cortile più piccolo intorno a cui si disponeva il cosiddetto gineceo. Questa è la casa più diffusa nella stessa Seleucia, dominante a Babilonia e quasi esclusiva altrove. Si tratta per altro di un tipo di abitazione che – pur con tutte le differenze del caso – non doveva sembrare così estraneo agli stessi coloni greci che potevano facilmente adattarsi ad essa. Abitazioni di tipo prettamente ellenistico con peristilio colonnato sono attestate a Seleucia e nel quartiere di Merkes a Babilonia, più raramente altrove.

Con la conquista partica si assiste a una progressiva trasformazione delle abitazioni, specie quelle più prestigiose, dovuta alla diffusione degli iwan di derivazione nomade che stravolgono la struttura tanto delle abitazioni di tipo ellenistico tanto di quelle alla greca.

Le città e i monumenti.

Babilonia. La ricchezza delle fonti – storiche e archivistiche – compensa in parte la sconfortante assenza di resti materiali. Già Alessandro aveva pensato a un restauro sistematico dell’Etemenanki, la colossale ziqquarat che un tempo dominava la città e che al momento dell’arrivo del macedone era già in rovina. Se l’ambizioso progetto non fu mai portato in porto numerose tracce di interventi attestano sgomberi di macerie e restauri conservativi in età seleucide. Se non ci sono dati su un utilizzo effettivo dell’Etemenanki sicuramente in funzione era l’Esagila, il santuario di Marduk nella città bassa oggetto di ricostruzioni in età ellenistica e il cui uso è attestato anche nel primo periodo partico.

A differenza delle altre città mesopotamiche Babilonia conobbe una ricca fioritura di edifici monumentali alla greca di cui le fonti epigrafiche ci danno testimonianza dell’esistenza di un’agorà alla greca, di un ginnasio e di un teatro, di quest’ultimo sono state rinvenute alcune tracce in mattone crudo ai margini della collina dell’Etemenanki e frammenti della decorazione in puro stile greco. Alcune murature adiacenti al teatro che definiscono un vasto spazio rettangolare sono forse da attribuire al ginnasio. Solo in età partica – ma nel più puro gusto ellenistico – la via sacra venne dotata di portici colonnati sul modello delle città siriane.

Da Babilonia provengono alcuni frammenti di capitelli corinzi in terracotta invetriata. Si tratta di una tipologia nota anche a Seleucia e ai confini opposti del mondo ellenistico orientale a Nysa-Mitridatkert la prima capitale degli Arsaici e ad Ai Khanoun in Battriana. Si tratta di capitelli composti da più frammenti uniti fra loro, con vetrinatura che copre i punti di raccordo. Come è evidente sono elementi puramente decorativi e priva di qualunque funzione statica. Non è forse importuno notare come se per i greci il legame fra funzione e forma fu sempre prioritario ed essenziale per i mondi “barbarici” ellenizzati questo era un concetto marginale mentre i singoli elementi degli ordini greci potevano essere presi e riusati a prescindere dalle ragioni statiche che ne avevano segnato la nascita. Da questo punto di vista il mondo partico e battriano non si comportano diversamente da quello punico o italico e dalla stessa arte romana che nei confronti degli ordini mostra spesso un atteggiamento altrettanto disinvolto.

Uruk. Il quadro è in qualche modo inverso rispetto a Babilonia, la documentazione storica e molto scarsa mentre ricche sono le tracce architettoniche. Città sostanzialmente sacra Uruk mantenne per tutto il periodo ellenistico il suo aspetto tradizionale mentre l’attività dei sovrani di esplicava in restauri e ampiamenti dei maggiori edifici cittadini sempre nel rispetto delle forme e del gusto decorativo locale.

Il Bit Resh, il grande santuario cittadino dedicato ad Anu e Antum viene totalmente ricostruito nel III a.C. a ridosso dell’antica ziqquarat in modo da ribadire in modo esplicito la volontà di richiamarsi alle tradizioni ancestrali della città. Il nuovo edificio si ricollega totalmente all’architettura tradizionale, la planimetria organizzata su una serie di cortili di diversa funzionalità si richiama alla più antica tradizione babilonese. Indigeni sono anche l’uso prevalente del mattone crudo così come lo sviluppo delle facciate con alte torri quadrangolari sormontate da merli scanalati di tipo achemenide, le pareti esterne erano rivestite di mattoni smaltati  e una processione di animali reali e fantastici correva subito sotto le merlature. Tutto sembra tradizionale ma alcuni dettagli planimetrici e decorativi così come i nuovi rapporti fra santuario e ziqqurrat con la prevalenza del primo indicano che sono in corso trasformazione anche in un contesto così conservativo. Di fronte al Bit Resh alla fine del III a.C. viene costruito l’Irigal dedicato a Ishtar e Nanna. Solo parzialmente scavato esso è realizzato in mattoni cotti e si organizza secondo moduli tradizionali. L’ultima testimonianza d’uso del templi è al 108 a.C., in seguito le fonti tacciono ed è verosimile che i complessi siano stati danneggiati  abbandonati nei convulsi decenni successivi, agli inizi del I d.C. l’area era rioccupata da un villaggio fortificato nei pressi del quale venne costruito un piccolo tempio di forme romanizzanti.

Molto più tardo e autonomo rispetto agli esempi citati il tempio di Gareus costruito alla periferia del città probabilmente nel II d.C. probabilmente su commissione di comunità mercantili provenienti dalla Mesopotamia settentrionale. Per quanto di epoca partico il tempio, con il suo sincretismo di elementi orientali e occidentali sembra portare a compimento le suggestioni diffuse nella regione dall’ellenismo. Posto in un vasto themenos il tempio presenta ancora la classica planimetria mesopotamica ma gli alzati non mancano di originalità, in fronte il tempio è preceduto da un portico di colonne laterizie su basi in pietra modanata mentre le pareti della cella sono caratterizzate da arconi ciechi in laterizio alternati da semicolonne ioniche che evocano inevitabilmente modelli romani. Il fregio che correva sopra la cella mantiene i classici soggetti animalistici lo stile non ha più nulla della tradizione mesopotamica, la pietra ha sostituito le terrecotte smaltate e i confronti più diretti li troviamo con i fregi partici di Hatra o con rilievi zoomorfi palmireni.

Altri centri della Mesopotamia meridionale:  Gli interventi seleucidi non sono mancati negli altri centri della regione ma la documentazione è più limitata e di difficile interpretazione. A Nippur la presenza seleucide è attestata in tutta la città da grandi quantità di materiali ceramici e da alcune sontuose abitazioni databili fra il periodo ellenistico e l’inizio di quello partico di tipo greco con peristilio colonnato. Sappiamo di restauri significativi nel tempio di Inanna mentre la ziqquarat appare quasi abbandonato e riutilizzata come fortificazione entro il I d.C. Intorno alla metà del II d.C. all’interno della ziqquarat sono scavati quattro iwan che attestano un uso forse cerimoniale dell’area.

A Susa la povertà dei resti architettonici contrasta con la ricchezza della documentazione sculturea (cui si rimanda alla seconda parte) e le testimonianze epigrafiche. L’esistenza di un ginnasio è documentata epigraficamente ma non si sono rinvenute tracce dell’edificio, archeologicamente significative invece le testimonianze dell’edilizia privata con abitazioni signorili di impostazione prevalentemente indigena ma con apparati decorativi alla greca. Limitate alla piccola plastica, alla ceramica e alla numismatica le testimonianze della frequentazione ellenistica a Ur e Borsippa.

Non vengono qui analizzati i centri della Mesopotamia settentrionale soggetti a vicende totalmente diverse, scarsamente interessati da interventi in età ellenistica vedono una grande fioritura nel pieno periodo partico secondo linee di sviluppo che ormai non sono più né mesopotamiche né greche ma pienamente inserite nella cultura architettonica dell’Iran partico e del rapporto fra questo e le suggestioni provenienti dal mondo romano.

Babilonia. Ricostruzione del quartiere del teatro.

 

Seleucia sul Tigri. Frammento di capitello di lesena in terracotta invetriata.

Uruk. Ricostruzione del Bit Resh

Uruk. Tempio di Gareus

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La gloriosa metropoli della Ionia continua a essere per tutta l’età ellenistica e romana una delle città principali dell’Asia Minore e sono proprio queste le fasi che meglio sono documentate archeologicamente.

La storia della città in questo periodo comincia con l’annessione ai possedimenti di Lisimaco che la dota di un’imponente cinta muraria per poi passare agli Attalidi, nel 133 a.C. è eredita dai romani come parte del Regno di Pergamo. Nell’88 a.C. aderisce alla rivolta di Mitridate per venir riconquistata due anni dopo dai romani. Rapidamente superate le devastazioni della guerra continua a crescere e ad arricchirsi e solo l’invasione gota del 263 d.C. segna l’inizio di una decadenza non definitiva essendo ancora in età bizantina restava fra le principali città d’Asia.

La città si stende ai piedi della collina del Pion che con i suoi 155 m forma l’acropoli cittadina intorno alla quale si dispongono i quartieri di abitazione, cuore della città erano le due agorai, la grande agorà commerciale costruita in età ellenistica e ripetutamente abbellita per tutto il periodo imperiale e l’agorà civile di 160 m * 50 m circondata da portici e chiusa da un’ampia basilica civile. Le due agorai erano collegata da una monumentale via porticata lunga 600 m e larga 11 che poi proseguiva per il porto, essa è nota come Arcadianè per la ricostruzione avuta in età tardo antica ma la cui fondazione risale ad almeno il II d.C. Una seconda via colonnata partiva dall’agora civile e conduceva alla porta di Magnesia proseguendo fino all’Artemision.

La costruzione dell’agorà civile si data alla fine della repubblica, la tradizione interpreta il tempio che sorgeva al centro della piazza come un Iseion attribuendone la fondazione ad Antonio e Cleopatra, se questa tradizione non è verificabile di certo nei primi decenni dell’età imperiale si procede  alla costruzione della basilica datata fra il 4 e il 14 d.C. e alle strutture annesse, un Pritaneo e un Odeion che doveva servire come sede della Boulé cittadina. Il complesso è concluso in età flavia con l’erezione del tempio di Domiziano sul lato opposto della piazza.

Il tempio di Domiziano

Ottastilo, periptero (13 colonne sui lati lunghi) di ordine corinzio era posto su un’ampia piattaforma di 50* 100 m ed era preceduta da un altare monumentale decorato con panoplie e scene di sacrificio di gusto ancora pergameno. All’interno del tempio sono stati rinvenuti frammenti di una statua monumentale di Domiziano apparentemente oggetto di distruzione volontaria a seguito della damnatio memoriae dell’Imperatore, per altro poco amato nelle province asiatiche come attestano Dione di Prusa e Filostrato.

Il tempio era stato dedicato all’Imperatore dalla città e dalla provincia d’Asia ma restano dubbi sulla cronologia e sulla dedica originaria. Secondo alcuni il tempio sarebbe stato dedicato in origine a Vespasiano mentre il culto di Domiziano sarebbe successivo, per altro non è ancor chiaro se si tratti di una dedica al divus o all’Imperatore vivente – culto che comunque fu riservato a Domiziano – e che conferma la sopravvivenza dell’antico culto dinastico ellenistico riadattato agli imperatori romani.

L’architettura del tempio è ancora totalmente derivata ai modelli dell’ellenismo asiatico. Il crepidoma a quattro gradini, l’intercolumnio centrale più largo, l’ampliamento dello spazio porticato fra peristasi e cella riprendono le innovazioni introdotte da Hermogenes per il tempio di Artemide Leukophryne a Magnesia.

Il tempio di Adriano

Il secondo tempio dinastico cittadino venne completato nel 127 d.C. su commissione dell’asiarca Vedio Antonio Sabino e di P. Quitilio Galera con dedica ad Artemide e all’imperatore. Il tempio segna il superamento dell’architettura templare ellenistica e la definitiva affermazione dei modelli romano-italici. Su alto podio, prostilo in antis presenta in facciata due pilastri laterali e due colonne centrali che reggono un frontone aperto con un arco al centro. Le colonne sono corinzie e l’insieme riccamente decorato secondo i moduli della scuola di Afrodisia. I fregi si concentrano non solo sulla trabeazione ma anche sulla facciata della cella e sulla lunetta che sovrasta la porta dove una Scilla fuoriesce da girali d’acanto, l’intero complesso è dominato da un senso di horror vacui lontanissimo dal classicismo atticizzante che aveva impregnato l’arte imperiale fino a quel momento e segno delle nuove tendenze asiane che domineranno il nuovo secolo. La cella corta e larga e coperta da una volta a botte, altro elemento estraneo alla tradizione ellenistica.

Il tempio di Serapide

Il tempio vero e proprio è collocata in una vasta area sacra recitata da un themenos. IL tempio vero e proprio è collocato sul lato di fondo e posto su un alto podio accessibile da una scalinata monumentale. Il tempio è corinzio, con otto colonne in facciata di dimensioni monumentali (14 m di altezza). La cella coperta da una volta a botte presentava abside e cinque nicchie sulle pareti laterali. Non conosciamo la dedica ufficiale ma il ritrovamento di frammenti statuari attribuibili a divinità egizie rende plausibile un’interpretazione come Iseo o Serapeo. La decorazione è più difficilmente ricostruibile rispetto al tempio di Adriana per un più precario stato di conservazione, appare comunque molto ricca testimoniando un’evoluzione in chiave barocca del gusto precedentemente descritto e che permette una datazione alla seconda metà del II d.C. L’impostazione scenografica da un  lato si ricollega ancora a schemi di tradizione ellenistica dall’altro anticipa soluzioni che avranno ampia fortuna in età severiana – come il Foro di Leptis Magna.

La biblioteca di Celso

La biblioteca costruita da C. Julius Aquila, console nel 110 d.C., in onore del padre Ti. Julius Celsus Polemaeanus rappresenta forse l’edificio più interessante della città.

L’edificio terminato nel 135 d.C. rappresenta una rara fusione di biblioteca e sepoltura, a un tempo culturale ed heroon per l’illustre genitore del dedicante (Celsus Polemaeanus era stato console nel 62 d.C. e proconsole d’Asia). Il seppellimento in area urbana è eccezionale nel mondo antico dove gli spazi dei vivi e dei morti sono radicalmente separati e solo in casi eccezionali questa barriera può essere superata. Nella stessa Efeso parrebbe aver ottenuto sepoltura simile Arsinoe IV e quindi il presente caso si inserirebbe in una tradizione non aliena alle tradizioni cittadine. L’eccezionalità della sepoltura è confermata anche dal rilievo dato all’edificio, posto in una posizione dominante nei pressi dell’agorà così da palesare l’apoteosi del defunto.

Esternamente l’edificio presenta una facciata monumentale a doppio ordine con colonne che inquadrano nicchie destinate a contenere le statue del defunto, dei suoi antenati e le personificazioni dei suoi attributi dominanti (Sophia, Aretè, Eunonia e Episteme). Gli architravi delle colonne dell’ordine inferiore erano rettilinei, le colonne degli ordini superiori reggevano un frontone al centro e coperture a baldacchino ai lati, alle porte dell’ordine inferiore corrispondeva finestre in quello superiore. La ricca decorazione con i caratteristici girali abitati va attribuita alla scuola di Afrodisia.

L’interno si presenta come una grande sala rettangolare con abside sul fondo – dov’era collocato il sarcofago – ornata di statue. Sulle pareti erano le nicchie in cui erano collocati i rotoli disposte su tre livelli tramite ballatoi, nei muri erano ritagliate intercapedini che servivano ad isolare i rotoli.

I ginnasi

Il ginnasio del porto: I ginnasi sono una delle caratteristiche di Efeso e in età romana essi assorbono le funzioni svolte in occidente dalle terme senza però rinunciare alla concezione ellenistica che gli era propria. Il ginnasio del porto è il più antico di quelli documentati e la sua storia costruttiva molto complessa. La fondazione è probabilmente tardo-ellenistica cui segue un primo importante rifacimento in età domizianea quando su iniziativa dell’asiarca C. Claudius Verulanus viene rifatta in forme monumentali la palestra estesa su oltre 15.000 mq. E circondata da portici, è probabilmente questo il luogo in cui Apollonio di Tiana ebbe la visione dell’assassinio di Domiziano. Un secondo radicale intervento si data ad età tardo-antonina con la drastica riduzione della palestra limitata ora alla parte ovest per far posto a un impianto termale.

Il ginnasio di Vedio: Collocato ai margini settentrionali della città venne costruito intorno alla metà del II d.C. su iniziativa di P. Vedius Antoninus e dedicato ad Artemide e all’imperatore Antonio Pio. La ricostruzione è incerta in quanto solo una parte è stata scavata e la simmetria planimetrica delle ricostruzioni è dovuta a un raddoppiamento speculare dei dati acquisiti. Rispetto al ginnasio del porto qui siamo in presenza di un complesso unitario già al momento della progettazione. Anche qui l’elemento centrale è la palestra porticata ma le sue dimensioni sono più ridotte che nel caso precedente (circa 4700 mq. su 12100). Sul lato ovest si apriva una sala absidata decorata da marmi policromi su due ordini che doveva essere il sacello del culto imperiale secondo una prassi molto diffusa nelle province greche che fa dei ginnasi il luogo deputato ai culti dinastici e politici e quindi a rafforzare il legame delle comunità con il potere centrale. Un vasto ambiente di raccordo collegava la palestra a un impianto termale qui previsto fin dalla prima progettazione organizzato su una successione di frigidario, tepidario e calidario preceduti da una natatio.

Il ginnasio del teatro. Simile al precedente –ritroviamo la stessa successione planimetrica sia nel rapporto palestra piscina, sia nella collocazione del sacello di culto – dovrebbe datarsi ancora entro la metà del II d.C. ma il pessimo stato di conservazione impedisce valutazioni più puntuali.

Il ginnasio est: Situato presso la porta di Magnesia è il più recente dei grandi ginnasi di Efeso e viene datato all’epoca di Settimio Severo, periodo cui rimanda anche la ricca dotazione scultorea del sacello di culto con immagini dello stesso imperatore, del dedicante il sofista Flavio Damiano e della moglie di questi Vedia Fedrina, figlia del Vedio costruttore del ginnasio precedentemente descritto. La tipologia segna il punto di arrivo delle tendenze viste, il tipo greco del ginnasio è ormai totalmente ibridato con quello romano delle terme, la palestra è molto ridotta (solo 3000 mq. su 11000) mentre la parte dedicata ai bagni prende il sopravvento e anche la decorazione tende ad avvicinarsi a quella dei complessi termali urbani.

I ninfei

L’angolo sud-occidentale dell’agorà era ornato da un monumentale ninfeo eretto nel C. Laecanius Bassus in età flavia al termine dell’acquedotto costruito fra il 4 e il 14 d.C. e che aveva risolto i problemi idrici della città. E’ una struttura quadrilatera, aperta in facciata decorata da due ordini su un modello che anticipa quello usato nella biblioteca di Celso. Le nicchie ricavate dalle colonne dell’ordine erano occupate da statue.

Un secondo ninfeo con struttura simile venne edificato nel 114 d.C. su iniziativa di Ti. Claudius Ariston e Iulia Lydia Laterane con dedica ad Artemide Efesia e all’imperatore Traiano. La struttura è simile al precedente, in facciata la decorazione si dispone su un doppio ordine corinzio con trabeazioni rettilinee. Le nicchie erano decorate da statue, quella centrale era destinata a quella di Traiano mentre la decorazione presenta un rigore classico e una pulizia insolite in Asia dove prevalente era un gusto barocco di derivazione ellenistica.

Il teatro

La costruzione risale a età ellenistica ma subì ripetute trasformazioni in epoca alto e medio imperiale in particolar modo al tempo di Domiziano e Settimio Severo. Teatro di tipo greco, con cavea superiore al semicerchio poteva contenere fino a 25000 spettatori.

La scena era di particolare monumentalità e risale come impianto alla fase flavia – pur con evidenti matrici ellenistiche – restaurata e ulteriormente arricchita con i restauri severiani quando fu aggiunto il coronamento. Presenta cinque porte, di cui quella centrale di dimensioni maggiori e affiancata da due esedre semicircolari al fondo delle quali è posta una nicchia, le porte laterali hanno trabeazione rettilinea, l’ordine è ionico, architravi e paraste sono decorate da fregi vegetali. L’ordine superiore è corinzio, al di sopra delle porte sono poste nicchie absidate con semicupola mentre sopra la porta centrale è una nicchia più grande a fondo piatto con copertura ad arcosolio. Le nicchie contenevano statue come normalmente nei teatri antichi. Alle spalle era una stoa con funzione di porticus post scenam.

Le porte

Si hanno dati precisi che permettono la ricostruzione di tre delle porte monumentali della cinta urbica e dei monumenti cittadini.

La porta di Mazeo e Mitridate. Costruita su incarico di Mazaeus e Mithridates liberti di Agrippa nel 4-3 a.C. introduceva da sud all’agorà. E’ una porta di tipo italico, a tre fornici – quello centrale arretrato rispetto ai laterali – con copertura a botte. I fornici erano decorati da lesene corinzie reggenti una trabeazione a girali d’acanto sopra il quale l’alto attico conteneva le epigrafi dedicatorie in onore di Auguro, Livia, Giulia e Agrippa. Lo schema è derivato direttamente dalle porte a più fornici del mondo romano e risulta estraneo come tipologia alla tradizione ellenistica mentre la decorazione riprende il classicismo imperante di matrice attica pur risentendo nei girali qualche suggestione pergamena.

La porta occidentale dell’agorà. Contemporanea alla precedente la porta la porta occidentale dell’agorà ne rappresenta la perfetta antitesi nell’essere ancora totalmente calata nel linguaggio ellenistico lineare. La porta si presenta come una grande facciata sopraelevata da dieci gradini su cui si imposta un colonnato ionico esastilo che scherma le tre porte di passaggio, la planimetria ad ante ricorda quella dei grandi altari ellenistici di derivazione pergamena. La trabeazione rettilinea è decorata da un fregio a girali vegetali.

La porta dell’Arcadianè. Una sorta di sintesi fra le due possibili tradizioni è rappresentata dalla porta che si estende al limite del tratto urbano della grande via colonnata in direzione del porto. Questa fonde le tradizioni lineari ellenistiche con quella curvilinea italica in un nuovo linguaggio formale. La porta si presenta come una facciata rettilinea in cui si aprono tre porte ad arco ciascun’inquadrata da due colonne ioniche su plinto staccate dalla parete, agli angoli queste colonne formano due piccoli tetrapili con quelle dei lati brevi. La cornice e l’attico sono particolarmente marcati e contribuiscono con le loro sporgenze e rientranze a rendere l’insieme particolarmente mosso. Nonostante qualche abbassamento cronologico ad età adrianea la porta viene generalmente datata in età augustea o tiberiana.

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Biblioteca di Celso

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Tempio di Adriano

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Ricostruzione grafica della scena del teatro

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La porta di Mazaeus e Mithridates

 

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