In primo luogo mi scuso per lunga assenza dovuta ad un gravissimo lutto e ai problemi famigliari da esso derivati, riprendo a scrivere per non far morire questo spazio nonostante la situazione sia tutt’altro che risolta.
Poseidone, signore del mare e delle acque, delle profondità marine e delle fonti vivificanti – elemento da non scordare e che favorirà l’assimilazione con culti acquatici e di fecondità indigeni nel mondo provinciale ellenistico e romano – è fra le divinità più antiche e venerate del mondo greco. Fratello di Zeus, quasi ipostasi di quest’ultimo, legato al mondo ctonio – e quindi alla sfera della fecondità terrestre – donatore del cavallo agli uomini (e il cavallo rimanda ancora a una dimensione ctonia) Poseidone compare soggetto di raffigurazioni artistiche fin dalla più alta antichità. Certo la gran parte delle opere ricordate dalle fonti sono perdute – Poseidon di Dedalo, rilievo bronzeo di Gitidas per il tempio di Athena Calkiokos a Sparta, trono di Apollo ad Amicle – ma un riflesso si ritrova nella testa fittile di Asine di età sub-micenea in cui è stato proposto di vedere la più antica immagine del Dio e negli ex-voto del santuario di Artemis Orthia a Sparta alla fine dell’VIII a.e.v.
Con la metà del VI a.e.v. l’iconografia comincia a definirsi con precisione e se i pinakes corinzi ci trasmettono un riflesso della pittura monumentale di Kleantes nel tempio di Artemis Alpheinoeia ad Olimpia e alla grande enciclopedia dell’immaginario arcaico che bisogna guardare con maggiore attenzione, ovvero al vaso François. Qui il Dio partecipa al banchetto delle divinità e si caratterizza per un’assimilazione quasi completa con l’immagine di Zeus – maturo, barbato, vestito con lungo mantello – da cui si differenzia solo per gli attributi. Da quel mondo questo schema sarà ripreso con minime variazioni in tutta la stagione della ceramografia attica a figure nere e in opere scultore come il fregio del Tesoro dei Sifni a Delfi (525 a.e.v.). Poseidone può comparire solo ma più spesso è accompagnato da altre divinità. In primis ovviamente la sposa Anfitrite (vaso di Sophilos, anfora di Amasis), ma anche Atena ed Hermes come su un’hydria da Vulci.
La produzione scultorea comincia a diventare significativa con lo stile severo ma le linee essenziali rimangono quelle già viste nella ceramica. Immagini solenni, stanti, ieratiche, volto barbato, attributi del tridente, del tonno, del delfino. Si varia maggiormente l’abbigliamento – anche nella ceramica e nei coni monetari – dove al lungo mantello di Kleitias si affiancano corti chitoni e sempre con maggior frequenza l’immagine del Dio nudo, con solamente un manto leggero passato intorno alle braccia come sulle emissioni monetarie posidoniati.
Di contro a queste immagini statiche esiste un più limitato gruppo di opera caratterizzate da maggior dinamismo che vedono la partecipazione del Dio ad azioni concitate. Si tratta principalmente di gigantomachie in cui è raffigurato mentre scaglia pietre contro gli avversari.
Al passaggio fra stile severo e classicismo si datano alcune opere fondamentali per l’evoluzione iconografica del Dio. Se resta isolato – ma non per questo meno interessante – il Poseidone sbarbato e quasi efebico di Patrasso – e ricordiamo che anche Hades può comparire in forme giovanili come su alcuni pinakes locresi – a confrontarsi sono il Poseidone di scuola peloponnesiaca ritrovato a Livadostro e quello attico dal capo Artemision. Il primo è il punto di arrivo della tradizione di cui abbiamo fin qui parlato il secondo – se si tratta di Poseidon e non di Zeus, il dubbio resta ma il confronto di ponderazione con le già citate monete di Poseidonia sembra indicare a favore del Dio del mare – apre verso la stagione della piena arte classica. Se la posa è ancora tradizionale – con le braccia levate pronto a scagliare il tridente e se il volto ha tutta la composta nobiltà dei precedenti tardo-arcaici un brivido di frenata energia attraversa tutta la figura, i muscoli fremono già come nelle future opere fidiache e con un gusto quasi mironiano la scultura blocca l’immagine nel momento stesso in cui tutta l’energia caricata sta per esplodere.
Purtroppo la frammentarietà delle sculture partenoniche complica la fruizione della rivoluzione fidiaca. Il Dio compariva almeno due volte, più disteso e in uno schema più tradizionale nel fregio della cella partenonica dove è raffigurato seduto con l’himation avvolto intorno alle gambe – e ancora una volta l’iconografia ribadisce lo strettissimo legame con il fratello Zeus – in piena tensione nel frontone. Il torso superstite ci mostra la muscolatura nella piena torsione di un violento movimento e non si fatica ad immaginare mentre colpisce con tutta la forza la roccia per farne scaturire la polla d’acqua salmastra.
A questi modelli guarderà la generazione post-fidiaca come attestano i rilievi dell’Hephaistaion, dell’Eretteo e del tempio di Atena Nike. Probabilmente influenze fidiache dovevano ritrovarsi anche nei cicli pittorici di Mikon per il Theseion di Atene. Si è proposto di vedervi un’eco in un cratere attico a Bologna con Poseidone sdraiato su una kliné affiancato da Anfitrite mentre dona una corona aurea a Teseo. Lo stesso soggetto ma con figure stanti si ritrova in un cratere del Pittore di Harrow ad Harvard.
La ceramica a figure rosse aumenta in modo significativo il numero dei soggetti raffigurati. Si ritrovano tematiche tradizionali anche se adattate a un diverso gusto espressivo come le scene di gigantomachia su uno stamnos del Pittore di Troilo (ancora di stile severo) o in un’anfora del Pittore di Diogenes con Poseidone che sta per scagliare contro Polybotes l’isola di Nisiro mentre in una coppa di Aristophanes della fine del III è raffigurato mentre trafigge il gigante con il tridente sotto lo sguardo inorridito di Gea. Frequenti anche le immagini più statiche con il Dio affiancato da Anfitrite (stamnos del Pittore di Syleus con le due divinità sedute e Iris fra loro in veste di coppiera che riprende con maggior sobrietà uno schema già affrontato a inizio V secolo dal Pittore di Sosias con non comune esuberanza decorativa). Di gusto tutto partenonico è invece il trattamento della coppia divina su un’anfora apula del Pittore di Thalos ormai intorno alla fine del secolo.
Compaiono però anche nuovi soggetti come il suo ruolo di spettatore della nascita di Afrodite in una pelike attica a Tessalonica (ormai della metà del IV secolo) o le storie degli amori con Amimone che compaiono in Attica (pelike del Pittore di Licaone intorno al 440 a.e.v.) ma che avranno grande fortuna in ambito italiota per tutto il secolo successivo.
Più problematico farsi un quadro preciso della situazione del IV a.e.v. per la scarsità della documentazione. Di un Poseidon di Skopas circondato da nereidi e delfini parla Plinio ricordando un suo trasferimento a Roma, si è proposto di vederne un’eco nel fregio posteriore dell’ara di Domizio Enobarbo. Perduti anche il Poseidon di Prassitele e quello dedicato da Lisippo sull’istmo. Il nome di Lisippo – insieme a quello di Bryaxis – sono stati fatti in relazione alla statua colossale del Museo Lateranense. Probabilmente al modello lisippeo si rifanno le piccole immagini bronzee e le raffigurazioni glittiche che fino ad età romana trasmetteranno l’immagine del Dio nudo, in posizione di riposo con il piede appoggiato su una prua navale e l’aplustre dietro le spalle. Si è proposta una derivazione lisippea anche per la testa Chiaramonti dalla capigliatura resa con un gusto barocco con non esclude la possibilità di scendere in età ellenistica. Probabilmente a un tipo statuario si rifanno anche le numerose emissioni monetarie con il Dio seduto su una roccia con tridente, delfino e prua di nave attestate a Corinto, Nisiro, in Beozia e nelle emissioni di Demetrio Poliorcete.
Alla prima stagione ellenistica si data il Poseidon di Bryaxis servito da modello per la statua colossale di Cherchell già di età imperiale. Sul grande altare di Pergamo il Dio compariva sul carro alla testa delle divinità marine ma si tratta di una delle parti più danneggiate del complesso e la figura del Dio è completamente scomparsa.
L’opera più nota per il periodo ellenistico è però la statua colossale da Melos. Il tipo essenziale è ancora quello della tradizione classica con il Dio stante, barbuto, a torso nudo e con l’himation avvolto intorno alle gambe. L’opera mostra caratteri ecclettici con suggestioni peloponnesiache – nel volto – e pergamene forse attribuibile ai copisti parendo evidente la derivazione dell’esemplare marmoreo da un prototipo bronzeo (come sembra confermare la presenza di elementi ausiliari in funzione di puntelli). Elementi di ponderazione e soprattutto la presenza di monete lagidi in cui la statua compare priva di puntelli spingono a collocare l’originale in ambiente tolemaico, probabilmente negli anni di Tolomeo IV Filopatore. Il gruppo godette di grande fortuna fino ad età imperiale come attesta il Nettuno napoletano di età claudia o il riuso del tipo per statue celebrative di Augusto.
Non rappresentato ma indirettamente evocato è Poseidon a Lyconsoura dove i danzatori con maschere equine raffigurano celebrazioni in onore di Poseidon Ippios che nella tradizione locale è paredro di Demetra e padre di Despoina-Persefone.
Probabilmente alla fine dell’ellenismo si data il cammeo napoletano – già collezione Medici poi Farnese – che reinterpreta con eleganza tutta classicista il tipo fidiaco della contesa per il possesso dell’Attico con le due divinità contrapposte e separate dall’olivo fatto sorgere da Atena sotto il quali si rintana Erichtonios.
Ancora nel II d.C. un gruppo crisoelefantino con Poseidone e Anfitrite su una quadriga era dedicato da Erode Attico a Istmia.
Nethuns e Neptunus
In abito etrusco il Dio compare in alcuni specchi incisi secondo l’iconografia greca. Più originali le emissioni monetarie – Vetulonia, Populonia e Volterra – dove compare imberbe seduto su una roccia da cui sgorga acqua mentre dai tipi greci deriva il tridente come attributo.
Il Nettuno romano pur presentando caratteristiche proprie venne rapidamente reinterpretato alla greca e praticamente non esiste un’iconografia italica autonoma dai modelli classici od ellenistici. In ambito romano – specie nelle emissioni monetali e nella glittica – si preferiscono tipo arcaicizanti con il Dio rigidamente stante, il mantello passato sulle spalle, il tridente e il delfino come attributi. Non è difficile ipotizzare la loro derivazione da modelli italioti.
Il fregio del lato posteriore di Domizio Enobarbo non aggiunge molto alla tradizione locale riproducendo un modello tardo-classico o ellenistico come a tipi greci si rifanno le statue cultuali di età tardo-repubblicana e proto-imperiale.
Nettuno gode di particolare fortuna nella province dove tende a rappresentare l’interpretatio romana di divinità indigene delle acque. E’ probabilmente con questa funzione che compare nelle province gallo-germaniche (colonna istoriata di Magonza di età neroniana) e soprattutto in quelle africane dove il Dio gode di infinita fortuna.
Nettuno – erede qui di un Ba’al acquatico di tradizione punica – è al centro dell’immaginario di popolazioni che conoscono la minaccia della siccità e che quindi hanno una particolare venerazione per l’acqua vivificatrice e per le divinità che la garantiscono.
Le iconografie sono tendenzialmente classiche ma alcuni dettagli fanno emergere una concezione locale. Il nimbo che nelle province africane è attributo delle divinità vivificanti e garanti del rinnovamento della terra adorna il capo del Dio che avanza trionfalmente sulla sua quadriga in un mosaico di La Chebba affiancato dalle personificazioni delle stagioni e dai simboli dei lavori agricoli stagionali. Palese è la prevalenza di un Dio portatore delle acque, garante delle stagioni e della regolarità delle piogge così importante nei semi-aridi climi africani. Ancora nimbato e ancora sul carro ma affiancato da Anfitrite e calato in uno scenario totalmente marino compare nel sontuoso mosaico che decorava il triclinio della casa di Catone a Utica (fine II – inizi III e.v.).
Analogo al nimbo per valore simbolico è in Africa il mantello che si gonfia alle spalle di un Dio circondandone la figura. Così appare Nettuno su una biga lanciata al galoppo su un mosaico severiano da Sousse e ancora alla fine dell’antichità nel ricco mosaico delle terme private di Sidi Ghrib – regione di Cartagine – della fine del IV – inizi V secolo raffiguranti le nozze con Anfitrite. La presenza di simboli così specifici ha fatto avanzare l’ipotesi che questo ciclo musico come alcuni coevi mosaici con Dioniso e Venere Marina rappresentino le ultime attestazioni di una resistenza pagana in Africa dopo l’editto di Teodosio.